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Piemonte, è fuga di infermieri dalle Rsa

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Non arriva il cambio a fine turno: infermiera lavora per oltre 16 ore consecutive in RSA
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Dopo le tante vittime mietute dal Covid, ecco il problema della carenza di personale. Molti scelgono la sanità pubblica, che offre contratti vantaggiosi.

«Buona parte delle Rsa del Piemonte corre il rischio di rimanere senza infermieri. E questo significa che sarà difficile fornire un’adeguata assistenza agli ospiti presenti nelle strutture»Michele Colaci, vicepresidente di Confapi Sanità, non nasconde la propria apprensione per un comparto messo a dura prova dalla pandemia. Lasciato alle spalle il periodo buio dei primi mesi del 2020, quando le Rsa sono finite sotto accusa per i tanti morti causati dal coronavirus, adesso si guarda al futuro. Ma restano dubbi e incertezze. A preoccupare è la carenza di personale: un problema endemico, ma che ora rischia di acuirsi con la fuga degli infermieri dalle Rsa.

«La sanità pubblica, negli ultimi tempi, offre contratti vantaggiosi in virtù della particolare situazione emergenziale. Una scelta legittima, ma restano risorse sottratte all’assistenza sociosanitaria privata», spiega Colaci. «Sono circa 1.800 gli infermieri assunti da Aso e Asl senza essere collocati in distacco, e questo mette in difficoltà le nostre strutture – sottolinea Michele Assandri, presidente di Anaste . Mancano anche professionisti di medicina generale disponibili a prendersi cura degli ospiti in maniera sistematica».

Le stime regionali dicono che nel prossimo triennio saranno necessari almeno 3mila nuovi infermieri, anche per implementare l’assistenza domiciliare, che durante la pandemia ha mostrato tutte le proprie lacune. Numeri che si scontrano con la scarsa offerta da parte del sistema formativo universitario. «È necessario ripensare la formazione – suggerisce Colaci –. Si tratta di superare la regola del numero chiuso per l’accesso alla facoltà: se non lo si vuole abolire, almeno si allarghi la platea di coloro che possono accedere».

A incidere c’è il tema vaccinazioni. Sarebbero circa 2mila gli infermieri e gli oss piemontesi non immunizzati che lavorano nelle strutture per anziani. Rappresentano circa il 5% dei dipendenti. «Non abbiamo ancora gli elenchi e quindi nessuno è stato sospeso – chiarisce Colaci –. La Regione è in grave ritardo: i nominativi avrebbero dovuto arrivare ad aprile, poi sono sorti problemi legati alla privacy. Sta di fatto che il personale non vaccinato continua a lavorare. E questo è un problema per la sicurezza dei dipendenti e degli ospiti, che sono soggetti fragili e devono essere tutelati».

Nonostante le difficoltà, il settore sta cercando di superare la crisi iniziata 18 mesi fa: prima a causa del virus, che ha fatto strage degli ospiti, poi a causa del blocco degli ingressi (ancora oggi pochi). «Siamo al 78% dei posti occupati – calcola il vicepresidente di Confapi –, ancora lontano dal 90% pre-pandemia. Da poco le unità di valutazione geriatrica hanno ripreso a disporre gli accessi nelle Rsa, ma siamo distanti da un equilibrio economico. Inoltre ci sono strutture che non possono accettare ospiti perché non hanno infermieri».

La situazione è più critica per le Rsa di medie dimensioni (circa 60 posti letto). «E drammatica per quelle piccole, ossia con circa 30 posti letto – chiosa Assandri-. Per un centinaio di strutture piemontesi si prospetta la cessazione dell’attività a fine anno».

Redazione Nurse Times

Fonte: Corriere della Sera

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