Gentile Direttore di NurseTimes,
Invio alla vostra attenzione la mia riflessione di qualche giorno fa, scritta dopo lo smonto da una notte difficile.
Sento una grande responsabilità nel condividere ciò che sta succedendo nella realtà delle uni operative.
Da quasi due anni lavoro in Terapia Intensiva Covid.
Torno a casa dopo l’ennesima notte a lavoro e non riesco a dormire. Vedere la linea piatta della morte è una sensazione difficile da descrivere.
In realtà non trovo pace perché la mia testa è piena di così tanti pensieri, stati d’animo ed emozioni che quasi fatico a mettere in ordine il tutto.
Sto cercando di dare una spiegazione logica e sensata a quello che sta succedendo ma non riesco. Alla fine continuo a vedere buio e morte nonostante stia comunque cercando di vivere al massimo le mie esperienze (come ho sempre fatto in 29 anni).
Spingere sopra gli sterni per salvare vite non è certo cosa nuova se lavori in una Terapia Intensiva ma da più di un anno a questa parte mi sento inglobata dentro una sorta di meccanismo contorto.
Tutto mi appare ed è così sbagliato.
È frustrante veder morire o assistere persone in condizioni estremamente critiche; persone che con una scelta diversa non si sarebbero ‘forse’ trovate su quel letto.
La prima ondata è stata inevitabile, la seconda prevedibile, la terza sovrapponibile (alla seconda) ma questa, (che ancora ondata non è) è apoteosi del perseverare nell’errore.
Non è il carico di lavoro che mi spaventa questa volta, dopotutto siamo una categoria abituata a non risparmiarsi ma sulla quale tutti risparmiano.
Quello che mi spaventa è l’aria che si respira tra la gente; pesante, colma di diffidenza verso la scienza dove l’opinione di tuttologi improvvisati sembra contare quanto gli RCT condotti nei laboratori clinici.
E’ frustrante avere la consapevolezza che questa volta, le persone su quei letti, avrebbero potuto avere a disposizione una scelta diversa. Un piano A.
La scelta si chiama vaccinazione
La scelta si chiama attenzione
La scelta si chiama tutela degli altri
La scelta si chiama buon senso o senso civico
La scelta si chiama rispetto
La scelta si chiama amore verso se’ stessi e verso il prossimo.
Il 100% delle persone nei letti in Covid T.I, dove lavoro, ha scelto consapevolmente (o inconsapevolmente) di non vaccinarsi.
Un paziente con Covid in forma grave necessiterà nella maggior parte dei casi di tracheostomia e di lunghi periodi di riabilitazione respiratoria, fisica e psicologica. Quando va bene.
Perché rischiare di ammalarsi, in forma grave, di una malattia per la quale esiste un vaccino che protegge dalla forma grave?
Che poi è quella che causa ospedalizzazioni.
Mi sembrano così tanto sbagliate, nel 2021, queste situazioni e queste morti, specialmente quando lo scorso anno, speravamo tutti nell’avvento di un vaccino.
Chi ancora combatte contro gli strascichi del Long Covid (avendo contratto la malattia durante la prima o la seconda ondata) sono certa avrebbe pagato oro per un’alternativa.
Ma l’uomo dimentica, l’uomo è egoista.
Volti noti e meno noti scendono nelle piazze a “sbraitare idiozie” contro la scienza (tra cui anche colleghi) che insinuano dubbi nella mente delle persone.
All’interno dell’ospedale tuttavia i pazienti non troveranno i “paladini anti vaccino” a tenere loro la mano. Non troveranno nemmeno gli “istigatori delle piazze” a guardare i loro occhi terrorizzati nel momento in cui comprendono la gravità della situazione. Il punto da cui non si può tornare indietro.
A volte continuano a non capire, rischiando un eterno limbo di inconsapevolezza.
Alla morte non ci si abitua mai nel mio lavoro ma non sono nemmeno abituata a vivere quello che sta succedendo in questo momento storico.
Se mi chiedessero “Perché sei strana?”
Quando mi chiedono “come stai?”
Rispondo “bene” ma non è vero. Io sto provando tutto questo da molto tempo e penso di non essere la sola.
I macigni del mondo fuori e del mondo dentro, la corsia, ti si schiacciano addosso, tu sei nel mezzo e non ti fanno respirare.
Martina Benedetti
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