L’addio alle scene del noto attore ha acceso i riflettori su questa malattia. Conosciamola meglio.
L’afasia, ossia il disturbo di cui soffre Bruce Willis, comporta la progressiva perdita della capacità di comunicare. Si tratta di un disturbo del linguaggio, causato da lesioni in particolari aree della corteccia cerebrale dell’emisfero dominante.
La gravità dell’afasia – studiata particolarmente alla fine dell’Ottocento dal neurologo e chirurgo francese Paul Pierre Broca, che per primo intuì la correlazione tra un danno del cervello e questo disturbo – dipende dalla sede e dalla dimensione del danno cerebrale. Questo, nel 90% dei casi, riguarda il lobo frontale e temporale.
Analoga variabilità riguarda le cause. L’afasia è perlopiù conseguenza di un altro problema di salute: un ictus cerebrale, la rottura di un aneurisma, un trauma cranico o un tumore del cervello. Più rara l’insorgenza a partire dal botulismo – la malattia provocata dalla tossina botulinica – e dalla sclerosi multipla. Ma l’afasia può anche avere un’origine degenerativa, di natura primaria. Anche le forme del disturbo dipendono dalla posizione e dalla gravità del danno.
L’afasia fluente (o di Wernicke) permette a chi ne soffre di esprimersi in maniera fluente e articolata, ma con frasi prive di senso o che includono parole errate. Queste persone – nel loro caso il danno è la conseguenza di un danno alla rete linguistica nella parte sinistra del cervello – faticano a riconoscere le lacune presenti nei loro discorsi e a comprendere la lingua parlata dagli altri.
Diversa è invece la manifestazione di un’afasia non fluente (o di Broca). I pazienti, in questo caso, sanno cosa vogliono dire, ma faticano a pronunciare le parole, si esprimono con frasi brevi o omettono termini necessari alla comprensione. Al contrario, possono comprendere meglio (rispetto a chi soffre di afasia fluente) i discorsi degli altri.
La forma più grave – che è quella che più spesso si riscontra a seguito di un ictus – è però l’afasia globale. In questo caso un danno esteso alle reti linguistiche comporta una grave disabilità: con difficoltà tanto nell’espressione quanto nella comprensione del linguaggio.
L’afasia progressiva primaria è invece la forma che non dipende da uno degli eventi citati (ictus, tumore cerebrale, trauma cranico). Si tratta di una sindrome neurologica dalla diagnosi complessa, che deriva principalmente da una degenerazione dei centri del linguaggio presenti nelle aree fronto-temporali sinistre. Il disturbo esordisce lentamente e costituisce la prima manifestazione di una forma di demenza. Nell’articolare una frase il paziente inizia a non inserire più le parole desiderate e, poco alla volta, perde la capacità di comunicare.
La diagnosi di afasia parte dall’anamnesi. Nel caso in cui compaiano improvvisamente difficoltà di parlare, ricordare le parole, leggere, scrivere o capire i discorsi è importante rivolgersi a un medico. Riscontrati i sintomi, nel caso in cui ci si trovi di fronte a un paziente affetto da una delle condizioni indicate, il rischio di essere di fronte a un caso di afasia è piuttosto alto. Per la conferma si ricorre comunque a un test del linguaggio e E all’imaging – TAC o risonanza magnetica – per individuare l’area del cervello danneggiata. Un passaggio necessario per formulare una corretta diagnosi, visto che le forme di afasia variano in base all’area cerebrale interessata.
Il riconoscimento della causa è un passo importante anche per la terapia. Nel caso in cui sia presente un tumore che comprime l’area cerebrale del linguaggio l’intervento chirurgico può migliorare anche l’afasia. Non esistendo una terapia medica, ma in generale è la logopedia il primo passo della neuroriabilitazione. La durata del trattamento è variabile. Il lavoro più intenso, che porta i risultati maggiori, è quello che viene svolto nell’arco dei primi 12 mesi dopo un ictus o la rottura di un aneurisma cerebrale.
Dopo questo primo periodo, il lavoro si concentra principalmente su quella che può essere definita una riabilitazione sociale. Meno legata all’ospedale, con un percorso di adattamento costante. L’entità del recupero – sempre più spesso la logopedia è accompagnata da fisioterapia e musicoterapia – può essere completa in caso di un danno lieve. Parziale in tutti gli altri casi: con una variabilità legata all’entità del danno.
La difficoltà di comunicazione può causare agitazione, reattività e isolamento. Frequente è anche la comparsa di disturbi depressivi. Fondamentale, per questo, è che l’approccio riabilitativo coinvolga anche la famiglia del paziente, chiamata ad avvicinarsi a nuove modalità di comunicazione. Un tema su cui due anni fa ha puntato l’attenzione A.L.I.Ce, l’associazione per la lotta all’ictus cerebrale, con un decalogo di consigli rivolti alle persone più vicine a chi è affetto da afasia. A loro è consigliato di non rivolgersi al proprio caro come se si avesse a che fare con un bambino, di usare un tono di voce e una velocità normali e di prediligere frasi brevi.
Nella fase di ascolto occorre avere un atteggiamento disponibile per incoraggiare la comunicazione: concedendo tutto il tempo necessario per la risposta, rispettando i tentativi senza cercare di anticipare o indovinare le parole e non pretendendo che ogni parola sia corretta. Meglio, infine, evitare di sovrapporre domande e risposte e preferire quesiti brevi («Vuoi uscire?»), che possano trovare risposta in una breve affermazione o anche in un cenno della testa.
Redazione Nurse Times
Fonte: Rai News
- Prevenire le lesioni da pressione: il 21 novembre torna la Giornata Internazionale STOP Pressure Ulcers
- Convegno “Universalità delle cure e sostenibilità dei Ssn in Europa”: appuntamento a Roma il 22 novembre
- Ostia (Roma), uomo morto per possibile shock anafilattico: indagati tre medici del Centro Paraplegici
- Reggio Emilia, violenza in Pronto soccorso: 16enne prende a pugni due infermieri
- Asl Napoli 3 Sud, sospesa infermiera che si spacciava per cartomante e sensitiva
Lascia un commento