Gli impulsi elettrici generati dall’impianto nella colonna vertebrale hanno permesso a una 48enne di risolvere in buona parte i problemi di ipotensione ortostatica.
Una donna di 48 anni affetta da una malattia neurodegenerativa può di nuovo stare in piedi e camminare senza svenire a causa dei suoi problemi di pressione sanguigna. Il suo midollo spinale è stato riattivato grazie ad elettrodi impiantati direttamente nei nervi e che, generando impulsi elettrici, regolano appunto la pressione sanguigna. L’eccezionale risultato, pubblicato sul New England journal of medicine, si deve a un team di ricercatori svizzeri guidati dalla neurochirurga Jocelyne Bloch, dell’Università e dell’Ospedale Universitario di Losanna, e dal ricercatore in scienza neurologica Grégoire Courtine, del Politecnico Federale di Losanna.
La 48enne soffre di atrofia multi-sistemica (Ams), malattia cronica neurodegenerativa con esito mortale e per la quale non esiste cura. Si manifesta con ipotensione ortostatica, ovvero un brusco calo della pressione quando ci si alza o ci si mette in posizione seduta, fatto che porta a vertigini e perdita di conoscenza. La paziente non poteva camminare più di cinque metri senza svenire. La terapia si basa sulla cosiddetta elettrostimolazione epidurale. Elettrodi sono stati inseriti nella colonna vertebrale della paziente assieme a un apposito sensore che registra le sue posizioni. Se si siede o si alza, viene attivata una stimolazione che regola la pressione sanguigna.
Dopo tre mesi di riabilitazione, la donna è riuscita a percorrere 250 metri con l’aiuto di un deambulatore. Praticamente scomparsi anche gli episodi di svenimento in posizione seduta. La paziente ha così constatato “un miglioramento generale del suo benessere”, scrivono i ricercatori. Tra le altre cose, il nuovo sistema ha permesso alla donna di interrompere l’assunzione di farmaci per la pressione. Con la stimolazione la pressione non è ancora a livelli perfetti, ma è regolata molto meglio. La paziente vive a casa sua, assistita dal marito con l’aiuto di personale curante.
“La ricerca è promettente – sottolineano gli esperti -, anche se è difficile valutare i rischi dell’intervento chirurgico necessario e i benefici a lungo termine del trattamento. Per questo si continuerà a sperimentare la procedura con più pazienti affetti da malattie neurodegenerative. In futuro è previsto uno studio clinico a più ampio spettro”.
Redazione Nurse Times
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