L’incredibile storia di Antonella e Loreta, oggi donne, protagoniste di uno scambio di culle (e di vite) 33 anni fa.
Ci sono voluti anni per stabilire che Antonella Z. è figlia di Michele e Caterina, e non di Loreta M. e Vito O., che pure la riportarono a casa loro, a Trinitapoli, in un giorno del giugno 1989. Quello che avvenne nell’ospedale di Canosa (Barletta-Andria-Trani) fu senza dubbio uno scambio di culle, tra due bimbe nate a 11 minuti di distanza l’una dall’altra e ormai diventate donne. E’ per questo che alla vigilia di Ferragosto, dopo una causa durata sette anni, il Tribunale di Trani ha condannato la Regione Puglia a risarcire con poco più di 1 milione di euro una delle due famiglie cui fu sottratta la figlia legittima.
A fronte di una richiesta di quasi 9 milioni, il giudice Roberta Picardi ha stabilito che ad Antonella Z. dovranno andare poco più di mezzo milione di euro, mentre i suoi genitori biologici avranno 215mila euro ciascuno e il suo vero fratello altri 80mila euro, cui aggiungere gli interessi calcolati dal 2013, cioè quando un test del Dna effettuato dall’Irccs di Castellana chiarì che Antonella era figlia di persone mai conosciute fino a quel giorno.
La condanna della Regione è stata stabilita a fronte della “gravissima negligenza e imprudenza” di “ostetriche e infermiere puericultrici” in servizio nell’ospedale di Canosa. Nate entrambe con il cesareo, le bambine erano state portate nel nido dell’ospedale, che si trovava a un piano diverso rispetto a quello di degenza. “E’ certamente più probabile (che no) – secondo il giudice – che lo scambio si sia verificato al momento del parto all’interno della sala parto o ancora più verosimilmente nel nido dove [erano state portate] le neonate date alla luce quasi contemporaneamente”, anche perché “non vi è prova” che l’ospedale avesse utilizzato “i braccialetti di identificazione”, di cui pure la Regione ha depositato i codici e di cui c’è traccia in una relazione del primario dell’epoca.
Il risarcimento dovrà coprire “il danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale”, perché i due genitori “hanno improvvisamente scoperto, dopo oltre vent’anni, di non avere cresciuto la figlia da loro generata, ma la figlia partorita da altra donna, hanno realizzato di aver perso la relazione parentale con la propria figlia biologica alla quale è toccata una sorte drammatica e con la quale non sono riusciti a instaurare alcun tipo di rapporto, vedendo così sconvolta la loro esistenza”.
La storia dello scambio di culle a Canosa, raccontata dalla Gazzetta del Mezzogiorno nel 2015, ha fatto il giro del mondo e commosso l’Italia. Soprattutto per il destino di Antonella, che fu portata a casa da una famiglia problematica da cui molti anni dopo è stata abbandonata. La bambina finì poi in un istituto e nel 2008 fu affidata alla famiglia di Foggia che l’ha poi adottata e che lei considera quella naturale. L’altra bambina, Lorena, tornata a casa per errore con i genitori oggi risarciti (e che nel 2014 l’hanno disconosciuta), ha avuto un’infanzia meno traumatica, ma altrettanto complicata. Non ha mai potuto conoscere i suoi veri genitori, spariti da più di un decennio senza lasciare traccia, e quindi non ha potuto fare il test del Dna. Anche lei ha chiesto un risarcimento da molti milioni e la causa è ancora in corso.
La scoperta dello scambio di culle inizialmente fu fatta risalire al 2012, quando i due genitori oggi risarciti avrebbero visto una foto su Facebook dell’altra bambina, rilevando un’impressionante somiglianza. Quella foto è stata mostrata durante il processo, “in originale”, e si è parlato di un incontro svolto “fra maggio e giugno 2012” tra le due madri. Ma è altrettanto probabile che in quell’anno qualcuno, che magari all’epoca era in servizio nel reparto di Ostetricia di Canosa, abbia deciso di togliersi un peso dalla coscienza. Al processo ha testimoniato un ginecologo in pensione, e tra i testimoni – molti anni fa – era inclusa anche l’ostetrica che aveva seguito entrambi i parti.
La Regione sembrerebbe intenzionata a pagare, senza ricorrere in appello, perché lo scambio in fin dei conti c’è stato e perché per continuare a sostenere la tesi difensiva (quella della prescrizione della domanda di risarcimento, presentata nel 2015) dovrebbe riuscire a dimostrare di aver avuto conoscenza dello scambio di culle prima che fosse accertato con il test del Dna. Una prova impossibile, come è ormai impossibile perseguire chi all’epoca lavorava a Canosa. E come è impossibile rivalersi sull’assicurazione: la polizza stipulata per il 1989 è sparita dagli archivi.
Redazione Nurse Times
Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno
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