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Ospedali pediatrici, lo studio rivela: pochi infermieri e rischio burnout

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Un’indagine presentata in Senato da 12 aziende ospedaliere aderenti all’Aopi parla chiaro: l’efficienza delle cure è garantita solo dagli sforzi del personale.

Ci sono in media due pazienti in più per ogni infermiere, ed è solo una buona organizzazione a mettere “in salvo” i pazienti, assicurando cure adeguate. Questo mentre un infermiere su tre è a rischio burnout. Ma nonostante le attuali criticità, è evidente che i professionisti dell’assistenza al paziente amano talmente il loro lavoro che ben il 70% è soddisfatto e non lascerebbe mai il proprio ospedale. A dirlo è lo studio presentato al Senato da 12 aziende ospedaliere pediatriche aderenti all’Aopi (Associazione degli ospedali pediatrici italiani), che aderisce alla Fiaso, la Federazione delle aziende sanitarie pubbliche, compiuta dai ricercatori del Gruppo di studio italiano Rn4Cast@It-Ped attraverso una survey che ha coinvolto infermieri e caregiver.

Punto di partenza, la carenza di personale, e in particolare il rapporto tra il numero di pazienti e infermieri in reparto. La media dovrebbe essere di 4 pazienti per ogni infermiere, mentre la media negli ospedali pediatrici è di 1 a 6,6 pazienti. In pratica, ogni infermiere segue almeno due pazienti in più di quello che gli standard di sicurezza consiglierebbero. Ma le cose variano da un’area all’altra di assistenza. Il rapporto dovrebbe essere di 3 o 4 a uno nelle aree chirurgica e medica, di 1 o persino 0,5 per le cosiddette aree critiche, come terapie in tensive e rianimazioni. Numeri lontani dalla realtà rilevata dall’indagine, che ha calcolato un rapporto di 5,93 per la chirurgia, 5,7 per quella medica e 3,55 per l’area critica.

Con questi livelli di staffing non è poi facile ottemperare a tutte le attività. Su 13 funzioni assistenziali giudicate necessarie sono state 5 in media quelle che ciascun professionista ha dichiarato di aver dovuto tralasciare per mancanza di tempo nell’ultimo turno. E la carenza di personale in genere finisce anche per dover impegnare i già pochi infermieri in attività che infermieristiche non sono. Come eseguire richieste di reperimento materiali e dispositivi, capitato almeno una volta durante l’ultimo turno nel 54% dei casi in area chirurgica, 55% in area medica e 39% in quella critica.

«L’aumento anche di un solo paziente del carico di lavoro infermieristico e quello del 10% della attività che non si è riusciti a svolgere sono elementi associati dalla letteratura rispettivamente al 7 e al 16% di rischio di mortalità a 30 giorni dal ricovero di pazienti sottoposti a comuni interventi chirurgici», ricorda Paolo Petralia, presidente Aopi e dg dell’Ireos Gaslini di Genova, che ha partecipato all’indagine. Ma non solo. Dover seguire molti pazienti può anche essere stressante. Nei 12 ospedali pediatrici presi in esame per il report il 32% degli infermieri è finito nell’area del burnout, la sindrome da esaurimento emozionale che colpisce chi per professione si occupa delle persone. Ma i valori nelle tre aree di assistenza rilevano un livello di burnout comunemente definito “medio”.

«I risultati dell’indagine – conclude il presidente di Fiaso, Francesco Ripa di Meana, pur focalizzati su un aspetto particolare e delicato dell’assistenza, come è quella rivolta ai più piccoli, mostrano ancora una volta che, senza il contributo fondamentale dei professionisti e di un management all’altezza, il Sistema sanitario nazionale sarebbe già naufragato da un pezzo. Abbiamo fatto un miracolo, operando tra ristrettezze economiche e di personale. Ora occorre cambiare passo, dando priorità a un grande piano per le assunzioni e per l’ammodernamento tecnologico delle strutture».

Redazione Nurse Times

Fonte: Corriere del Mezzogiorno

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