Il Dl Rilancio formulato dalla Commissione Salute e approvato lo scorso 9 luglio ha istituito la figura dell’Infermiere di Famiglia e Comunità, che verrà introdotto dalle Regioni che ne hanno recentemente definito le linee di indirizzo. Un ruolo che in collaborazione con i medici di medicina generale sarà chiave per la gestione dell’emergenza Covid-19. Abbiamo intervistato la Dott.ssa Paola Obbia, presidente Aifec.
Dott.ssa Obbia, chi è e che ruolo ha l’infermiere di Famiglia e Comunità?
Il Position Statement della FNOPI, che ha citato il Position Paper elaborato dalla nostra associazione e dalla Università di Torino e Università del Piemonte Orientale, definisce l’Infermiere di Famiglia e di Comunità come il professionista in possesso di conoscenze e competenze specialistiche nell’area infermieristica delle cure primarie e sanità pubblica, che opera rispondendo ai bisogni di salute della popolazione adulta e pediatrica di uno specifico ambito territoriale e comunitario di riferimento e favorendo l’integrazione sanitaria e sociale dei servizi. Agisce in autonomia professionale, in collaborazione con i servizi sanitari e sociali e con gli altri professionisti del Servizio Sanitario Nazionale.
Il ruolo è nuovo e non conosciuto, quindi per potersi affermare ha bisogno di un approfondimento culturale all’interno dei servizi. La FNOPI sta lavorando affinché questo avvenga e la nostra associazione è disponibile a continuare a fornire supporto scientifico. Le indicazioni alle Regioni della Conferenza Stato-Regioni saranno cruciali per una corretta implementazione e formazione dei professionisti assunti in base alla legge 77/2020.
E’ necessaria però una legge che ne definisca compiutamente il ruolo a livello nazionale. L’AIFeC ha fiducia nel Disegno di Legge 1751_2020 presentato a marzo. Ne abbiamo parlato lo scorso 18 settembre a Firenze con la senatrice Boldrini che è tra i firmatari. I nostri coordinatori regionali hanno esaminato attentamente il testo e proposto alcune integrazioni; ma nel complesso il DDL rispecchia la nostra visione e speriamo sia portato avanti e convertito in legge. Senza una visione completa il nome infermiere di famiglia e di comunità rischia di rimanere una scatola vuota, senza poter agire le potenzialità che rappresenta.
Ci sono realtà europee dove l’Infermieristica di famiglia e comunità è maggiormente sviluppata?
Un contesto di valore a livello europeo è rappresentato, ad esempio, dalla Spagna, dove l’IFeC è una realtà già consolidata. Gli Infermieri di famiglia e di comunità spagnoli ribadiscono che il loro ruolo è diverso da quello dell’assistenza infermieristica territoriale che offre quasi esclusivamente prestazioni di cura su prescrizione di altri professionisti.
Agisce prioritariamente nella promozione della salute e nella prevenzione delle malattie; considera la comunità come il luogo in cui devono essere diretti gli sforzi e il lavoro interdisciplinare, al fine di rafforzare comportamenti sani e migliorare la qualità vita della popolazione.
Uno dei principali obiettivi dell’infermiere di famiglia e di comunità spagnolo è quello di riuscire a potenziare le capacità di autocura delle persone; trasformando la dipendenza in autonomia attraverso la cura di sé. In questo modo l’individuo partecipa direttamente e attivamente alla prevenzione della malattia; prende coscienza del proprio ruolo e impara dal personale sanitario, in questo caso dal “suo” Infermiere di famiglia e di comunità.
Perché il modello spagnolo funziona?
In Spagna, l’infermieristica di famiglia e di Comunità è una specializzazione riconosciuta a livello legale e contrattuale dal 2010. I cittadini hanno un rapporto personalizzato non solo con il Medico di medicina generale; ma anche con l’Infermiere che scelgono quando si registrano al Servizio Sanitario Nazionale .
La formazione post base è requisito essenziale per essere Infermiere di Famiglia e di Comunità ed è svolta in buona parte in modo interprofessionale con i medici; di modo che le due professioni partono con una matrice comune e imparano a conoscersi e a collaborare fin dalla formazione. Fin dall’inizio c’è stata chiarezza sul ruolo e sulla sua funzione nella prevenzione.
In che modo l’infermiere di Famiglia e Comunità potrà contribuire alla gestione dell’emergenza Covid-19?
La pandemia si è caratterizzata da subito per la disinformazione mediatica e le notizie false, tanto da far coniare il termine “infodemia” dall’OMS. In Italia abbiamo il più basso tasso di alfabetizzazione sanitaria; quindi un bisogno urgente di imparare a tutelare la nostra salute in generale e, in particolare, di fronte all’ignoto rappresentato dalla nuova situazione.
Per le persone che hanno già patologie o che sono a rischio di svilupparle, la corretta gestione delle proprie condizioni cambia la qualità di vita e diminuisce i rischi di riacutizzazioni o scompensi.
L’emergenza covid-19 rende difficile o addirittura preclude l’accesso a molti dei servizi a cui eravamo abituati, al medico di base o al pediatra di libera scelta; alla specialistica ambulatoriale, agli screening, alle campagne di promozione della salute. Serve un accesso garantito e facilitato alle informazioni socio sanitarie anche attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, ma nella tutela della riservatezza dei dati.
Gli infermieri di famiglia e di comunità che lavorano dentro alle aziende sanitarie hanno la possibilità di avere canali informativi protetti e possono sviluppare, se messi in condizioni di farlo, azioni di educazione sanitaria personalizzata e mirata al sostegno delle persone, in collaborazione con tutte le risorse presenti.
Una peculiarità dell’Infermieristica di famiglia e di comunità è proprio l’attivazione delle capacità personali e delle reti di sostegno, il farsi carico in modo completo dei bisogni per cercare risposte. Non considerare esaurito il proprio ambito di competenza fino a che non si è individuato chi può fare la parte mancante per garantire un’assistenza completa in ottica preventiva e non solo responsiva.
Ma per fare questo deve avere autonomia e riconoscimento istituzionale, libero accesso possibilità di erogazione delle prestazioni secondo quelle più pertinenti già contenute nei LEA. E’ fondamentale, inoltre, l’integrazione dell’azione degli Infermieri di Famiglia e Comunità con i servizi esistenti; attraverso percorsi condivisi e definizione di ruoli complementari come il case manager.
Chi saranno i maggiori beneficiari di questa novità?
I cittadini, le loro famiglie, le comunità, ma non solo. Se messo in condizione di svolgere il proprio lavoro, attraverso l’azione di connessione sistemica si può generare una migliore allocazione delle risorse e un beneficio per tutti gli attori delle cure primarie. Ci sono possibilità concrete di ridurre i costi e aumentare la qualità assistenziale percepita dai cittadini. Ma le organizzazioni devono dare spazio e mezzi all’innovazione che il ruolo dell’IFeC rappresenta.
Daiana Campani
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