Riprendiamo l’articolo pubblicato su quotidiano sanità e redatto dai presidenti Ipasvi di Bari Saverio Andreula, di Firenze Danilo Massai e di Milano – Lodi – Monza e Brianza Giovanni Muttillo, che riprendendo il documento elaborato dal Ministero dell’Economia e Finanza sui dati relativi all’occupazione nel sistema sanitario nazionale e mettendo in evidenza i NUMERI REALI sconfessa i “numeri” proposti dalla presidente della Fnc Annalisa Silvetro nel suo articolo pubblicato su quotidiano sanità: Conto annuale 2013: in un anno “persi” 1.036 infermieri e gli stipendi sono in calo. Silvestro: “Basta tagli al personale”
Da parte nostra registriamo l’ennesimo attacco inferto all’assistenza ospedaliera e territoriale (ben 25mila unità infermieristiche in meno) da parte dei nostri politici che attraverso tagli lineari e mancata ri-organizzazione dei sistemi sanitari pongono in grave difficoltà tutta la comunità infermieristica occupata e gettano nello sconforto i tanti colleghi in cerca di occupazione costretti ad emigrare.
Di seguito l’articolo:
Infermeri. L’allarme dei Collegi di Bari, Firenze e Milano: “In Italia mancano 25 mila unità nell’assistenza ospedaliera e domiciliare
A seguito dell’articolo pubblicato il 23 dicembre 2014, titolato Conto annuale 2013: in un anno “persi” 1.036 infermieri e gli stipendi sono in calo. Silvestro: “Basta tagli al personale”, prendiamo spunto per ulteriori approfondimenti (e migliori definizioni), per avviare un’azione di coinvolgimento, ascolto e confronto, anche “da remoto”, con gli attori istituzionali e gli stake-holder interessati, al fine di favorire interventi propositivi e/o di supporto sia al “board” della professione, sia alle decisioni della politica (politica professionale e politica del Paese).
I numeri sono parzialmente diversi e comunque meritevoli di approfondimenti su dati temporali più ampi (fonte – MEF – Ragioneria Generale dello Stato – Conto annuale 2013):
- da 2009 al 2013, con esclusivo riferimento alle strutture del SSN, si sono “persi” posti per 8.670 infermieri (5.616 a tempo indeterminato e 3.054 a tempo determinato;
- nello stesso periodo, con riferimento alla situazione assistenziale (e per il relativo coinvolgimento), sono state realizzate 4.424 assunzioni di Operatori Socio Sanitari, parallelamente alla “uscita” di 5.399 operatori (OTA e Aus.), generando un ulteriore “gap” negativo di 975 unità (a scapito comunque dell’assistenza).
L’analisi dei dati statistici consente di prendere atto che nel periodo 2006-2010 sono stati ridotti circa 11.000 posti letto (fonte Ministero della Salute); sicuramente tanti ma non tali da giustificare una riduzione di circa 10.000 unità assistenziali.
Probabilmente è necessario qualche ulteriore approfondimento per la giusta risposta ad eventuali quesiti:
- la riduzione dei posti letto sarà stata realizzata nel rispetto dei principi della L. 133/2008 (Brunetta – diminuzione dei posti letto) e della L. 135/2012 (Monti – riduzione delle “strutture complesse”) … o nel mantenimento delle “tradizioni italiche” (riduzione di qualche pl in ogni singola unità operativa, senza cambiamenti negli organici aziendali, in particolare in quelli dirigenziali)?
- le dotazioni organiche in essere erano (sono) adeguate alle complessità clinico-assistenziali di oggi?
- i cambiamenti demografici ed epidemiologici quanto stanno incidendo nella modifica della domanda da parte dell’utenza?
- l’aumento delle patologie cronico-degenerative e le evoluzioni tecnologiche quante e quali risorse aggiuntive richiederanno?
Come riportato nell’articolo richiamato, le Regioni hanno avuto dei comportamenti molto diversi, quasi ad evidenziare l’assenza di un progetto politico nazionale, da mutuare in singoli progetti regionali, con riferimento sia alle dotazioni organiche assistenziali, sia a nuovi ruoli e responsabilizzazioni dei diversi livelli dell’articolazione organizzativa della filiera professionale.
É apprezzabile l’intervento senatoriale/presidenziale del 30 dicembre, riportato da QS, su “Stabilità. Nel 2015 arrivano gli infermieri specialisti”.
Certamente si tratta “di uno snodo importante per la professione e un’occasione per cambiare il volto dell’assistenza”, ma al proposito è corretto (e onesto) ricordare:
- il progetto deve trovare riscontro in atti della Conferenza Stato / Regioni (Cavicchi);
- gli stessi enunciati erano presenti nella L. 43/2006, rimasti inapplicati per 8 anni;
- in tante realtà le competenze degli infermieri sono cambiate “fisiologicamente”, a seguito dell’interesse, della professionalità e della volontà dei singoli e delle espressioni innovative di gruppi multi-professionali “avanzati”, spesso senza indirizzi normativi nazionali;
- certamente necessita un “adeguamento normativo” alle nuove necessità di funzionamento del sistema, in risposta ai nuovi bisogni delle persone, a tutela e garanzia delle stesse e dei professionisti;
- quando si sono mosse le Regioni (es. il “see and treat” della Regione Toscana o le Unità Assistenziali della Regione Lazio, a gestione e responsabilità infermieristica, dove la complessità prevalente è quella assistenziale, e non quella clinica) sono arrivati i ricorsi di rappresentanze ordinistiche e sindacali della componente medica, con giustificazioni risibili, se non addirittura offensive nei confronti della componente assistenziale infermieristica;
- la necessità di ridefinire “i ruoli, le competenze, le relazioni professionali e le responsabilità individuali e di équipe su compiti, funzioni e obiettivi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, tecniche della riabilitazione e della prevenzione, anche attraverso percorsi formativi complementari” (legge di stabilità 2015) non è da legare tanto agli ipotizzati percorsi formativi complementari, quanto alle nuove necessità del sistema e ai cambiamenti formativi e normativi già in essere da oltre 14 anni, tenendo conto anche degli oltre 9.000 laureati magistrali dell’Area Infermieristico-ostetrica (dati Conferenza Corsi di Laurea Professioni Sanitarie) che hanno acquisito i “saperi” necessari per ricoprire ruoli di responsabilità nell’ambito del SSN;
- pensare di avere un professionista infermiere con il livello formativo di oggi (ma la stessa cosa riguarda tutte le 22 professioni sanitarie), operante con “le regole del passato” (DPR 128/69), è anacronistico, non proponibile e non praticabile. Chi non accetta il cambiamento (di ruoli e responsabilità, a livello organizzativo e clinico-assistenziale) dimostra solo di essere fuori dallo spazio e dal tempo.
Pur nella condivisione del progetto, oggi le priorità sono altre e gli Infermieri, in particolare quelli che soffrono quotidianamente nella “trincea della prima linea” hanno bisogno di un forte intervento da parte della politica del Paese e di un altrettanto forte intervento da parte della politica professionale.
Le necessità di interventi da parte della politica del Paese. Il 2015 si caratterizza come un anno, dove si renderà necessario avviare contestualmente azioni regionali finalizzate all’accompagnamento metodologico, al monitoraggio dell’appropriatezza e alla valutazione di processo, d’impatto e di risultato dei programmi che confluiranno, con diversi gradi d’implementazione in un’ottica di trasversalità, di sperimentazione e sviluppo di processi innovativi (invecchiamento attivo e in buona salute, inclusione sociale, promozione stile di vita attivo, ecc.) ai Macro Obiettivi del Piano Nazionale della Prevenzione 2014 – 2018 (PNP):
- per una nuova definizione dei livelli assistenziali da assicurare alla popolazione;
- per la definizione di nuovi standard di riferimento per la determinazione delle dotazioni organiche assistenziali (con la speranza del rigore metodologico anche da parte delle regioni, al rispetto degli standard di pl per ogni disciplina definiti a livello governativo), comprese le modalità di compensazione delle lunghe assenze del personale di assistenza (es. gravidanze, lunghe malattie, benefici l. 104/92, etc.), tenuto conto della inadeguatezza delle risorse oggi presenti e delle condizioni di rischio per i pazienti e per gli operatori (con tanti “distinguo” … ma la situazione di alta criticità, in particolare nelle UU.OO. internistiche, geriatriche, di lungodegenza e residenziali, è ben evidente a tutti);
- per un nuovo progetto di risposta ai bisogni di salute delle persone, con riferimento al “Patto per la Salute 2014-2016, tenuto conto dei cambiamenti demografici, epidemiologici e socio-economici che riguardano il Paese e le persone;
- per un nuovo progetto di cure primarie, nel rispetto dei principi fissati dal DL 158/2012 (Balduzzi);
- per una diversa “presa in carico” delle persone con problemi di salute e per una forte integrazione tra strutture ospedaliere e strutture residenziali, territoriali e servizi domiciliari.
Particolarmente importante (e complessa) è il nuovo progetto politico per le cure primarie, con l’assoluta necessità di rivedere, con coraggio, i paradigmi organizzativi dell’intero sistema. L’analisi dei dati statistici (annuario ISTAT 2014) evidenzia in particolare:
- una popolazione pari a 60.782.668, di cui 3.266.751 persone nella fascia di età 65-74 aa, 4.516.256 persone nella fascia di età 75-84 aa, 1.789.482 persone nella fascia di età > 85 aa. (per le problematiche legate alle patologie cronico-degenerative e alle conseguenti necessità assistenziali);
- 24.611.766 famiglie (di cui il 31,2% composte di una sola persona – con le conseguenti necessità socio-assistenziali);
- 175.996 decessi per tumore (dati ISTAT 2014 – rif. Anno 2011 – per le ripercussioni assistenziali palliative e le cure di fine vita (rif. Normative cure palliative e di fine vita – indirizzi Conferenza Stato / Regioni);
- 65.777 medici (MMG / PLS / Medici Guardia Medica – dati annuario ISTAT 2014) per i coinvolgimenti diretti nella presa in carico dei pazienti.).
Stante la nuova strutturazione, di cui al DL 158/2012 (Balduzzi), che prevede l’istituzione delle UCCP (Unità Complesse Cure Primarie) e delle AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali), è ragionevole e logico superare i modelli del passato e “pensare” a nuove organizzazioni, multi-professionali e multi-disciplinari, con un gruppo di medici “associati”, in grado di assicurare la continuità del servizio e una maggiore presenza a livello ambulatoriale, preferibilmente con una trasversalità di “saperi” specialistici, per una migliore risposta ai bisogni di salute delle persone, e una forte presenza infermieristica sul territorio e a domicilio per una reale presa in carico delle persone.
Il nuovo modello obbliga una ri-organizzazione del sistema (tenuto conto che la condizione economica del Paese non consente certamente il mantenimento dell’esistente e l’implementazione del nuovo), attraverso la strutturazione del sistema delle cure infermieristiche territoriali e domiciliari, in linea con i dettati del Decreto di cui sopra e con i principi fissati dall’OMS e dal PSN.
Riguardo all’istituzione dei servizi infermieristici territoriali, gli approfondimenti tratti dalla letteratura più recente, e dagli studi di specifici gruppi di lavoro ministeriali, evidenziano le seguenti necessità:
- criterio 1 – 12.157 infermieri per l’organizzazione dei servizi territoriali/domiciliari (rif. Rapporto 1 infermiere / 5.000 abitanti);
- criterio 2 – 9.851 infermieri per l’organizzazione dei servizi territoriali/domiciliari (rif. Documento Scaccabarozzi – commissione nazionale LEA – 2006) che prevede una necessità di interventi assistenziali per il 3,7% della popolazione ricompresa tra i 65 e i 74 aa. (121.000 persone – dati ISTAT 2014) e per il 7% della popolazione con una età maggiore di 75 aa (125.263 persone – dati ISTAT 2014), con esclusione degli interventi di palliazione.
- Criterio 3 – 4.888 infermieri per la garanzia degli interventi di palliazione (rif. Normative specifiche “di settore”) – tenuto conto della possibile presa in carico di n. 3 pazienti da parte di ogni infermiere, su un totale di 14.666 casi/mese (simulazione rapportata al totale dei decessi per tumore – anno 2011).
La comparazione dei valori risultanti dalla sommatoria tra i criteri 2 e 3 e i valori del criterio 1 consente di evidenziare una differenza non particolarmente significativa (14.739 e 12.157 infermieri).
Il costo complessivo per l’attivazione del nuovo servizio è stimato in circa 589.560.000 € / anno.
Un “ritocco” minimale dei massimali degli assistiti di MMG/PLS (perché comunque è indispensabile cambiare il modello esistente, preferibilmente in maniera “guidata”, tenendo conto anche dei pensionamenti), unitamente alla riorganizzazione del servizio dei Medici di guardia medica, consente l’attivazione iso-risorse del nuovo sistema.
Certamente servono scelte coraggiose da parte della politica e, parallelamente, una diversa consapevolezza del cambiamento dei tempi in tanti (troppi!) nostalgici del passato.
Riassumendo:
10.000 (circa) sono i posti di infermiere “persi” dal 2009 al 2014 (che comunque necessitano per la compensazione delle gravi carenze di oggi);
15.000 (circa) sono i posti necessitanti di “copertura” per l’assicurazione di servizi domiciliari;
IN TOTALE 25MILA INFERMIERI IN MENO.
Le necessità d’interventi da parte della politica professionale:
- per una diversa considerazione degli infermieri e dell’infermieristica e per un vero valore disciplinare e professionale;
- per la giusta valorizzazione del corpo docente disciplinare (+ 2.279 Professori nel periodo 1997 – 2008 per far fronte all’aumentata necessità didattica, conseguenza diretta dell’importante accesso di studenti ai 22 Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie, di cui meno di 40 afferenti alle aree disciplinari interessate – dati ufficio statistico MIUR);
- per un diverso posizionamento in occasione dei pesantissimi “tagli” che hanno interessato gli infermieri e gli operatori di supporto, generando anche inoccupazione e disoccupazione, non certamente per un miglioramento delle condizioni di salute o per una minore necessità da parte della popolazione;
- per il necessario supporto ai tanti neo-laureati che, pur di lavorare, in troppi casi accettano proposte indecenti da parte di fantomatiche cooperative che propongono tariffe inferiori ai “pulitori di scale” (con tutto il rispetto per chi esercita quel tipo di attività);
- per una forte posizione, relativamente alla determinazione degli standard assistenziali, da garantire in tutte le strutture del Sistema Sanitario Nazionale e nelle strutture private accreditate, nonché nelle strutture e servizi del III settore e degli Istituti Penitenziari, a tutela e garanzia dei cittadini, degli ospiti e degli operatori;
- per un indirizzo uniforme sull’intero territorio nazionale, per la determinazione delle azioni da porre in essere, a livello di ogni singola regione, per la valorizzazione e il riconoscimento professionale;
- per un coinvolgimento proattivo delle componenti professionali (ordinistiche e associative) nella definizione delle politiche professionali;
- per una maggiore sensibilizzazione e motivazione professionale;
- per un domani diverso, per tutti coloro che sceglieranno questa strada.
Auspichiamo una presa di coscienza e confidiamo nella riflessione da parte di tutti gli interessati, nonché un impegno di tutti coloro che ricoprono posizioni di responsabilità (a livello dirigenziale, formativo, di ricerca, di coordinamento e specialista), per favorire un confronto e un dibattito in relazione alla necessità di garantire e potenziare un nuovo sistema di “governance” professionale anche al fine di assicurare la sostenibilità della spesa nell’ambito dell’erogazione qualitativa dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza)
Presidenti ipasvi
Andreula Saverio
Massai Danilo
Muttillo Giovanni
Lascia un commento