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Lavorare all’estero, sfatiamo bufale e leggende

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Lavorare all’estero, sfatiamo bufale e leggende
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Proponiamo un interessante contributo di Luigi D’Onofrio, nostro collaboratore in Gran Bretagna.

La burocrazia italiana, si sa, è particolarmente ostica. Non che quella inglese sia sempre lineare ed efficiente, eh. Pertanto, quando si emigra e la propria esistenza inizia a ondeggiare costantemente tra due nazioni diverse, il rischio di confondersi e restare vittima di informazioni scorrette, magari lette sui social media o sentite dire dal cugino dell’amico che vive a Londra o Berlino è sempre dietro l’angolo. Durante questi anni in UK ho letto molte fake news. È perciò arrivato il momento di spazzare via un po’ di preconcetti e falsità, che talvolta hanno indotto anche me in errore.

1) CHI EMIGRA ALL’ESTERO RIMANE CITTADINO ITALIANO

Anche se doveste ottenere, con gli anni, un secondo passaporto, non perdete il codice fiscale o la cittadinanza, né i vostri documenti perdono validità, a meno che non siano scaduti. Se fosse vero il contrario, i consolati non avrebbero uffici addetti al loro rinnovo. La perdita del codice fiscale, evidentemente confusa con la perdita del tesserino sanitario (ci ritorneremo in seguito), in cui è stato integrato, rappresenta sicuramente una delle più grandi castronerie che abbia mai letto.

Il  codice fiscale è un identificativo dei cittadini italiani e, più in generale, di tutte le persone fisiche e giuridiche che si interfacciano con le amministrazioni pubbliche italiane, per qualunque motivo (D.P.R. 605/73).  La cittadinanza italiana, nella maggior parte dei casi, si acquisisce per diritto di nascita (Legge 5 febbraio 1992, n. 91). Per gli immigrati in Italia, successivamente trasferitisi nel Regno Unito, trovano applicazione altre disposizioni normative.

2) L’ISCRIZIONE ALL’AIRE NON VI FA PERDERE LA CITTADINANZA

L’AIRE, istituita con L. n. 470/1988, è – dall’acronimo – l’Anagrafe degli italiani RESIDENTI all’estero. Il concetto di residenza non va confuso con quello di cittadinanza, né con quello, molto simile, di domicilio (esamineremo meglio la differenza nel punto successivo). In primo luogo, l’iscrizione all’AIRE è obbligatoria, entro 90 giorni, per chiunque intenda risiedere all’estero per periodi superiori ad un anno. Lo scopo della normativa è evidente ed è funzionale alla tutela del cittadino italiano emigrato, che sarà sottoposto all’imposizione fiscale nel solo Paese straniero, ma non in Italia. È per tale ragione che, in caso di mancata iscrizione al Registro, si corre il rischio di subire una doppia imposizione: la prima, nel Paese estero di effettiva residenza (non dichiarata); la seconda, in Italia, relativamente alla differenza di aliquota (che ad esempio nel Belpaese, sui redditi da lavoro, è del 23 o del 27%, a fronte del 20% in Inghilterra).

L’iscrizione all’AIRE, in ogni caso, non vi esime dal presentare una dichiarazione dei redditi in Italia, qualora ne abbiate maturati su immobili (per esempio, appartamenti affittati a terzi) o su attività commerciali. Permettetemi una considerazione personalissima e pertanto opinabile: sappiamo bene che le risorse umane e finanziarie dell’Agenzia delle Entrate sono limitate ed un “umile” infermiere è un pesce piccolo, per cui, salvo che abbiate attività produttive di reddito intestate a voi in Italia, sarà piuttosto difficile che un funzionario del fisco decida improvvisamente, una mattina, di iniziare a darvi la caccia. Tuttavia, non lamentatevi se poi questo accade: l’obbligo normativo è chiarissimo.

3) LA RESIDENZA NON È IL DOMICILIO

I termini dimora, residenza e domicilio vengono usati indistintamente nel linguaggio comune. Ai fini giuridici, tuttavia, sono concetti ben distinti: non mi stancherò mai di ripeterlo. Ne derivano effetti importanti sul piano burocratico, come vedremo al penultimo punto. L’articolo 43 del Codice Civile specifica che, per residenza, si deve intendere “il luogo nel quale la persona ha la dimora abituale”, che altro non è, se non il luogo nel quale un soggetto abita.

Per il comma 1 dell’articolo 43 dello stesso Codice, invece, il domicilio di una persona è nel luogo nel quale ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi, che può anche non coincidere con quello di residenza.

A norma dell’art. 47, si può eleggere domicilio speciale per determinati atti o affari, come la partecipazione ad un concorso pubblico. Potete quindi legittimamente risiedere nel Regno Unito, essere iscritti AIRE e partecipare ad un concorso pubblico, eleggendo domicilio a casa di mamma e papà, dei nonni o di un vostro amico.

L’elezione si deve fare espressamente per iscritto: per esempio, nella domanda di partecipazione al suddetto concorso. Allo stesso modo, si può eleggere domicilio per qualunque altro genere di affare. L’elezione, di solito, ha validità sino alla conclusione dell’affare (leggasi, ancora una volta, concorso pubblico), oppure, nei casi di rapporti a tempo indeterminato, comunicando la variazione.

4) L’ISCRIZIONE ALL’AIRE NON VI IMPEDISCE DI PARTECIPARE AI CONCORSI PUBBLICI

Per effetto della normativa europea sulla libera circolazione dei lavoratori (proprio quella che la Gran Bretagna intende buttare nella spazzatura, per effetto del Brexit) i concorsi pubblici italiani sono aperti a tutti i cittadini in possesso di titolo di laurea, nonché agli infermieri comunitari con titolo equipollente alla laurea in infermieristica. Per assurdo, un infermiere estone con residenza a Tallinn può partecipare ad un concorso pubblico in Italia. In buona sostanza, sarà sufficiente dichiarare il proprio DOMICILIO in Italia, per esempio a casa di mamma e papà, per l’invio della corrispondenza e di tutte le comunicazioni inerenti la prova concorsuale.

5) L’ISCRIZIONE ALL’AIRE VI FARÀ PERDERE L’ASSISTENZA SANITARIA IN ITALIA

Logicamente, se risiedete all’estero, sarà il Paese ospitante, in virtù delle convenzioni bilaterali  stipulate dall’Italia, a prendersi cura della vostra salute. Non dimenticate, tuttavia, che sarà sempre l’Italia a rimborsare le spese sanitarie, sostenute da una Nazione estera, per curare un cittadino italiano. La normativa britannica di riferimento è contenuta in un documento, stilato ed aggiornato dal Department of Health (Ministero della Salute), denominato Guidance on implementing the overseas visitor charging regulations.

Come ben sappiamo, Italia e Gran Bretagna vantano entrambe un modello di assistenza sanitaria estremamente simile, basato, in linea di massima, sul carattere pubblico e gratuito dei servizi offerti. Pertanto, una volta emigrati Oltremanica, sarà sufficiente, anche prima del completamento della pratica di iscrizione AIRE, iscriversi presso un medico di famiglia (GP, acronimo di General Practitioner) vicino casa o di fiducia, per continuare a ricevere assistenza sanitaria nel Regno Unito. Il perfezionamento della procedura ed il conseguimento della residenza all’estero comporteranno l’automatica cancellazione dagli elenchi del vostro medico di famiglia in Italia e la perdita di validità della Tessera europea di assicurazione medica (TEAM), quella dove compare anche il vostro codice fiscale (ricordate quanto ho scritto in precedenza?), che verrà rimpiazzata dall’equivalente inglese, la EHIC (European Health Insurance Card), dove invece il codice fiscale italiano, com’è intuibile…non è riportato. Nemmeno il National Insurance Number britannico, se è per questo, ma non importa.

Non disperate. Se siete tornati a casa in Italia per un periodo di ferie e improvvisamente vi ammalate, non dovrete sottoscrivere un mutuo per ricevere le necessarie cure. Esattamente come accadrebbe ad un turista italiano in UK, i cittadini italiani residenti all’estero, che rientrano in Patria per un breve periodo, potranno accedere ai servizi di emergenza (pronto soccorso) ed essere sottoposti a tutti i trattamenti immediatamente conseguenti (nello specifico, ricovero od intervento chirurgico) senza sborsare il becco di un quattrino. Saranno invece a pagamento follow up, visite specialistiche ed interventi programmati.

Siete fan sfegatati del SSN e non fidate nemmeno un po’ dell’NHS? Non volete perdere il diritto a ricevere assistenza sanitaria in Italia, motivo per cui rifiutate l’iscrizione all’AIRE? Al di là delle considerazioni relative agli obblighi verso il Fisco italiano, su cui mi sono già abbondantemente soffermato, tenete presente che vi porrete, rispetto alla sanità inglese, nella stessa posizione di un turista italiano che viene a trascorrere un weekend a Londra.

Con la differenza che voi, in Inghilterra, ci lavorate e vivete, per cui, secondo elementari leggi di probabilità statistica, sarà molto più facile che vi ammaliate e subiate un infortunio od abbiate necessità di trattamenti sanitari che esulano da quelli di emergenza urgenza (pensiamo per esempio ad una cura odontoiatrica).

A voi la scelta di compiere i salti mortali per richiedere giorni di ferie o di malattia necessari a tornare dal vostro medico in Italia, oppure andare dal GP o dal dentista che lavorano nella Practice sotto casa, in UK.

6) L’ISCRIZIONE ALL’AIRE OD IL TRASFERIMENTO ALL’ESTERO NON VI ESONERANO DALL’OBBLIGO DEL VERSAMENTO DELLA TASSA DI ISCRIZIONE ALL’ORDINE

Scordatevelo. A meno che non richiediate prontamente la cancellazione od il Direttivo del vostro Ordine di appartenenza non la disponga per morosità, resterete regolarmente iscritti e sarete perciò tenuti al pagamento della tassa di iscrizione, anche attraverso emissione di cartella esattoriale (quella di Equitalia, per intenderci), comprensiva di sanzioni ed interessi di mora. Tale obbligo può però tornare a vostro (nostro) favore, come vedremo tra poco.

7) L’ISCRIZIONE ALL’AIRE O IL TRASFERIMENTO ALL’ESTERO NON COMPORTANO L’AUTOMATICA CANCELLAZIONE DALL’ORDINE DI APPARTENENZA

Questo punto integra il precedente e ne rappresenta un opportuno approfondimento.

Pochi sanno, in effetti, che in passato esistevano alcune limitazioni alla possibilità di esercitare la professione infermieristica in Italia, qualora si espatriasse, pur non essendo mai stata richiesta la cancellazione. Recitava infatti l’art. 11 del Dlcps (Decreto Legislativo del Capo provvisorio dello Stato) n. 233/46, istitutivo dei collegi Ipasvi: “La cancellazione dall’albo è pronunziata dal Consiglio direttivo, d’ufficio o su richiesta del Prefetto o del Procuratore della Repubblica, nei casi: (…); b) di trasferimento all’estero della residenza dell’iscritto; (…); f) di morosità nel pagamento dei contributi previsti dal presente decreto”.

L’intuitività di quest’ultimo adempimento è evidente, mentre desterà qualche stupore iniziale il comma precedentemente menzionato. La cancellazione per trasferimento all’estero era tuttavia anch’essa scontata, in quanto conseguenza della previsione organizzativa, su base provinciale, degli allora collegi Ipasvi.

Allora, come comportarsi? Delle due, l’una: si spostava la residenza all’estero e si rischiava di subire la cancellazione, anche d’ufficio, oppure si simulava una permanenza della residenza in Italia, con le possibili complicazioni, sul piano fiscale, che da ciò ne poteva derivare. Se il disposto normativo del Dlcps 233/46, risalente all’immediato dopoguerra, segnava, per le ragioni appena esposte, il passo, soprattutto di fronte alle recenti dinamiche migratorie, che hanno interessato non solo gli infermieri, ma molte altre categorie professionali, l’analisi attenta della legge Lorenzin (L. 3/2018), istitutiva dell’Ordine degli infermieri, consente ora di superare l’anacronismo, seppur “in calcio d’angolo”.

Analizzando il testo, che va a sovrapporsi ed a sostituire quello del Dlcps 233/46, si legge infatti, al capo I, art. 1: “Nelle circoscrizioni geografiche corrispondenti alle province esistenti alla data del 31 dicembre 2012 sono costituiti gli Ordini (…) delle professioni infermieristiche. Qualora il numero dei professionisti residenti nella circoscrizione geografica sia esiguo in relazione al numero degli iscritti a livello nazionale ovvero sussistano altre ragioni di carattere storico, topografico, sociale o demografico, il Ministero della salute, d’intesa con le rispettive Federazioni nazionali e sentiti gli Ordini interessati, può disporre che un Ordine abbia per competenza territoriale due o più circoscrizioni geografiche confinanti ovvero una o più regioni”.

La nuova disciplina istitutiva degli Ordini, pertanto, conserva l’impianto su base provinciale, già previsto per i collegi Ipasvi dal Decreto del 1946. Rimane quindi esclusa la possibilità (peraltro prevista, invece, per le circoscrizioni elettorali), di creare una delegazione estera tenutaria di un Albo e, pertanto, la possibilità di esercitare la professione, contemporaneamente, in Italia ed in un Paese straniero? Nient’affatto.

Qualche speranza, per gli emigrati, giungeva già dalla previsione del nuovo Capo II, articolo 5, comma 3: “Per l’iscrizione all’albo e’ necessario: c) avere la residenza o il DOMICILIO o esercitare la professione nella circoscrizione dell’Ordine”.

Il ministero della Salute ha successivamente chiarito in modo definitivo la querelle, stabilendo, all’art. 2 comma 4 del D.M. 13 marzo 2018, che “Gli iscritti all’albo professionale che si stabiliscono in un Paese estero possono, a domanda, conservare l’iscrizione all’Ordine italiano di appartenenza”.

La dichiarazione del domicilio nella città italiana di provenienza consente quindi la possibilità di una conservazione dell’iscrizione a un Ordine italiano, ferma restando l’opportunità non solo teorica, ma anche pratica, dell’istituzione di una delegazione ordinistica estera. Quest’ultima, infatti, consentirebbe non solo assistenza nell’espletamento di procedure burocratiche e tutela legale, per migliaia di infermieri italiani che esercitano la loro professione in un Paese estero e che ad oggi, in quanto lontani e spesso isolati, sono “figli di un Ordine minore”, ma arriverebbe anche a generare un reale e fecondo ponte professionale tra la categoria infermieristica italiana e quella di altre nazioni. Noi di Italian Nurses Society ci stiamo provando.

8) PER PARTECIPARE AI CONCORSI PUBBLICI NON OCCORRE L’ISCRIZIONE AD UN ALBO FNOPI

Il commento a questa affermazione nasconde un piccolo trabocchetto, che vi svelerò presto. L’iscrizione a un Ordine è finalizzata all’esercizio della professione, in una determinata Nazione. La partecipazione ad un concorso pubblico, in sé, non lo è. Il requisito dell’iscrizione all’Ordine degli infermieri italiano, per noi emigrati nel Regno Unito, non è indispensabile, al momento della partecipazione ad un concorso pubblico in Italia. Andrà invece soddisfatto – com’è intuibile – al momento dell’immissione in ruolo.

Quindi, dopo aver vinto il concorso ed essere entrati in graduatoria. In molti penseranno, a questo punto: ma i bandi prevedono, tra i requisiti, l’iscrizione ad un Albo! Sì, vi rispondo, ma ad un Albo professionale di uno dei Paesi dell’Unione Europea, come, ad esempio, il Registro tenuto dall’NMC inglese o dall’NMBI (per gli Irlandesi).

Fa fede, sotto questo profilo, il riferimento normativo contenuto all’art. 2, comma 1, lettera d), del D.P.R. 165/2001, che definisce la disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale: “Ai sensi dell’art. 18, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, possono partecipare ai concorsi coloro che possiedono i seguenti requisiti generali: (…) d) iscrizione all’albo professionale, ove richiesto per l’esercizio professionale. L’iscrizione al corrispondente albo professionale di uno dei Paesi dell’Unione europea, ove prevista, consente la partecipazione ai concorsi, fermo restando l’obbligo dell’iscrizione all’albo in Italia prima dell’assunzione in servizio”.

Con l’augurio che la Brexit non comporti modifiche di questo aspetto della nostra normativa concorsuale…

Mi auguro di aver chiarito, con questo articolo, numerosi dubbi e perplessità, che spesso riemergono sulla pagina di Italian Nurses Society e su quelle di altri gruppi Facebook. Vorrei chiudere, tuttavia, con una provocazione ed una sfida: se mi sono sbagliato su qualche punto, contraddicetemi liberamente. Sono più che felice e determinato ad intavolare discussioni con chiunque dovesse individuare pecche in queste riflessioni. Ma fatelo sempre richiamando le norme, come ho fatto io, con non poco impegno.

Luigi D’Onofrio

 

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