ROMA – “Non andate al Sud: con molti contagi sarebbe una rovina”. E’ un vero e proprio grido d’allarme, sotto forza di appello, lanciato da Giovanni Floriddia, 33 anni, infermiere del Pronto soccorso dell’ospedale di Cremona e referente sindacale Nursing Up per lo stesso ospedale.
Floriddia l’emergenza coronavirus la sta fronteggiando in prima linea e ne è stato colpito anche in forma lieve. “La salute dei propri cari è la cosa fondamentale – racconta all’agenzia Ansa l’infermiere, originario della Sicilia – per questo da operatore sanitario mai mi sarei sognato di muovermi per tornare al Sud: ho cercato di sensibilizzare quante più persone che potevo perché non lo facessero. La sanità al Sud non è come quella del Nord. Mettiamola così. Avendo un po’ di problematiche, perché le terapie intensive ad esempio nella mia Regione di provenienza sono poche, non voglio immaginare cosa accadrebbe con una gran quantità di contagiati e sintomatici. Sarebbe una catastrofe”.
Floriddia racconta anche delle sue condizioni di salute: “Ho contratto il coronavirus in forma lieve, ma – prosegue – non sono preoccupato per me: la mia paura più grande è per i miei bambini piccoli, la mia compagna e i miei colleghi, che stanno facendo turni anche di 12 ore e a cui non posso dare il cambio”.
Attualmente è in quarantena, con ogni probabilità il contagio al coronavirus per Floriddia è avvenuto in ambito ospedaliero “anche se non si capisce ancora come, visto che a Cremona per fortuna al momento i dispositivi individuali di protezione non sono mancati. Ma anche altri colleghi, cinque o sei, hanno contratto il virus”. Il tampone era stato richiesto dal caposala perché Giovanni era esposto come altri operatori.
In più, dal giorno prima aveva un sintomo dei più comuni relativo al nuovo coronavirus, il respiro corto. Il risultato positivo comunicato due giorni fa lo ha costretto a uno stop. “La situazione – conclude l’infermiere – è molto difficile anche per noi operatori sanitari, soffriamo. Eppure ci sentiamo molto responsabilizzati, anche per il fatto che per alcuni pazienti quelli possono essere gli ultimi minuti e ore di vita e probabilmente non incontreranno un loro caro”.
Salvatore Petrarolo
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