C’era una volta, o forse c’è ancora, una donnetta di mezz’età, che viveva qua e là, in un errare continuo alla ricerca del suo regno.
Aveva ripudiato la sua terra natia perché la considerava troppo vicina alla plebe e troppo distante dal riconoscergli quella regalità di cui lei era stata investita.
E così, in quel girovagare continuo alla disperata ricerca di un trono su cui sedere, si vendeva come mercenario al miglior offerente, sperando in tempi migliori.
Era fiera dei suoi trascorsi e dentro di lei ogni spazio era occupato da un ego smisurato. Amava ritrarsi in pose ammiccanti, amava l’arte ed i canti nei quali più volte si cimentava, convinta d’esser gradevole all’orecchio.
Ed all’occhio era certa di esser gradevole. Si piaceva, e si vedeva… ogni occasione era buona per una posa, per lasciare traccia di una beltà che il tempo prossimo a venire avrebbe deturpato.
Nel suo errare aveva ingaggiato giullari e raccolto qua e là nani che formavano la sua corte. Il loro compito era di allietarla applaudendo ogni suo editto e venerarla. Erano tutti lì, ad aspettare che la regina alzasse il pollice per l’esibizione che più l’aveva aggradata.
Provenivano anche loro da ogni dove, e far parte di quella corte li faceva sentire meno soli. C’era l’aurunco che saltellava e applaudiva, il felsineo che promuoveva guerre, dalla japigia invece arrivava il principe defraudato.
La regina, seppur senza regno, non perdeva occasione per proclamare leggi o invocare l’inquisizione di quei plebei che, a suo dire, minacciavano le regali caste.
Questi erano esseri inferiori, indegni e ignoranti, incapaci e pericolosi. Questo assillante pensiero aveva monopolizzato e distorto l’intera sua vita. Non esistevano altre priorità se non quella di radunare un esercito per muover guerra agli impuri.
Provava disprezzo per tutti quelli che non la pensavano così. Nessuno era risparmiato.
Ma arrivarono tempi bui per lei!
Sopraggiunte carestie avevano fatto emergere il ruolo della plebe, che compatta e senza remore si prodigava nell’aiutare il prossimo, conquistando nei feudatari, stima e rispetto.
Alcuni sovrani, re di regni felici, avevano già creduto nella plebe. Avevano scommesso su un futuro diverso, luminoso, e rispettoso. Avevano creduto nelle persone e nei loro pensieri. Si erano ispirati a mondi lontani dove il sole illuminava l’oscurantismo delle caste.
E lei, la regina senza trono e senza regno, non riusciva proprio a sopportarlo.
Le inquisizioni tardavano ad arrivare e lei assisteva attonita a tempi che vedevano la nascita di un consenso diffuso e puro, proprio verso i suoi nemici.
La regina avrebbe voluto vedere teste rotolare, fieramente poi raccolte da boia petroniani. Ma questo non accadeva…
E così, sola con la sua corte dei miracoli, continuava nell’errare perpetuo alla ricerca di un trono in un regno che stentava a trovare. L’unico vero trono finora da lei trovato era quello dove amava ritrarsi… e solo quello rimaneva il suo regno.
Andrea Andreucci
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