Stragi nelle Rsa, due sentenze opposte: dall’archiviazione al rinvio a giudizio
Le case di riposo, ovvero la ferita più profonda in questo anno e mezzo di pandemia. Colpite dal Covid, soprattutto nella primissima fase, in molti casi si sono trasformate in una trappola mortale. Tralasciando i casi limite (è diventato tristemente iconico l’invito della direzione del milanese Pio Albergo Trivulzio agli operatori sanitari, nei primissimi giorni, a non mettere la mascherina “per non spaventare” gli ospiti), gran parte delle strutture è arrivata troppo tardi a mettere in sicurezza i pazienti.
E a distanza di un anno e mezzo, non è facile stabilire le responsabilità delle troppe morti registrate nelle strutture d’accoglienza. Sono esempi emblematici due sentenze agli antipodi: i giudici sono stati chiamati a pronunciarsi sulla base di eventuali responsabilità per le stragi avvenute nelle Rsa in un caso lombardo, che ha visto 77 decessi in pochi mesi, e un caso piemontese dove sono avvenute 49 morti.
La Procura di Lodi si è pronunciata in merito all’esposto presentato da 33 parenti di vittime decedute durante la prima ondata di Covid nella primavera 2020 alla Residenza Borromea di Mediglia, a Milano: la decisione è stata quella di chiedere l’archiviazione del caso.
Come racconta Prima Lodi, la Procura ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta che stava indagando sulle 77 morti avvenute in pochi mesi a primavera 2020: tutti ospiti della Casa di riposo per anziani Borromea di Mediglia. A far partire l’indagine erano stati 33 familiari delle vittime che avevano presentato un esposto, ma dalle prove raccolte non risultano esserci state gravi negligenze da parte della struttura e dai suoi operatori tali da aver portato senza ogni dubbio alla morte degli ospiti.
Secondo quanto raccontato dal Procuratore di Lodi Domenico Chiaro non c’è assoluta certezza che siano state le condotte di responsabili nella struttura a determinare le morti dei pazienti. Il Procuratore ha ammesso che a Mediglia sono mancati alcuni presupposti operativi ,che invece sono stati riscontrati in altre Rsa del territorio, ma questo non è sufficiente.
Sotto il profilo del reato colposo, infatti, il fatto che che vi sia un comportamento rischioso non basta ad avere la certezza che questo comportamento sia stato la causa scatenante del diffondersi del Covid, considerando poi che a inizio pandemia era difficile trovare i dispositivi di protezione individuale che oggi sembra scontato possedere.
Una limitatezza, questa, che è necessario tenere in considerazione con riferimento all’art. 3 bis della legge 76/21 che limita la responsabilità dei sanitari ai casi di colpa grave. Per la Procura di Lodi quindi non ci sono prove sufficienti per portare il caso in giudizio seppur sia comprensibile e molto probabile che arrivi comunque davanti al Giudice delle indagini preliminari che dovrà pronunciarsi in merito.
E’ andata diversamente per cinque degli indagati per le 49 morti avvenute nella Casa di Riposo di piazza Mazzini, per loro la Procura di Vercelli ha chiesto il rinvio a giudizio. I reati contestati sono: omicidio colposo e omissione di atti d’ufficio, come spiega Prima Vercelli.
Le persone per cui è stato chiesto il processo sono tre esponenti della struttura: il direttore generale, il direttore sanitario all’epoca dei fatti e la responsabile delle Oss, l’allora direttore generale dell’Asl Vc e un medico. Sono invece cadute le accuse di epidemia dolosa, come del resto sta accadendo anche il altri casi in Italia, avendo la Cassazione stabilito che si può parlare di questo reato solo se si compiono atti che comportano la trasmissione del contagio, ma non le eventuali omissioni di atti volti ad evitarlo. Per tutti gli altri iscritti nel registro degli indagati è stata richiesta invece l’archiviazione.
Fra gli addebiti emersi dalle indagini ci sono gravi imprudenze avvenute, il mancato isolamento degli ospiti, il ritardo con cui venne invito l’ingresso ai parenti e anche la svolgimento di momenti di socializzazione, inoltre non sarebbero state effettuate sanificazioni prima del 25 marzo, quando già l’emergenza Covid era esplosa in pieno. Sono cinque i casi specifici di anziani ospiti morti nei loro letti dopo che non era stato possibile ricoverarli in terapia intensiva all’Ospedale cittadino e senza cercare altre strutture sanitarie dove inviarli.
In carico al direttore generale dell’Asl Vc tutta una serie di manchevolezze: nessuna linea guida, il mancato aiuto alla casa di riposo, nonostante diverse richieste, fra cui quella del Sindaco e non aver effettuato i tamponi agli ospiti fino ai primi giorni di aprile.
I decessi di anziani positivi al Covid furono 49, una vera strage che forse si poteva evitare. Al di là delle decisioni che la Magistratura potrà prendere e dell’accertamento finale delle responsabilità penali resta comunque un fatto evidente: la completa inadeguatezza del sistema a fronteggiare l’emergenza, comprese le più elementari norme come l’isolamento dei ricoverati.
Fonte: primamilanoovest
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