Arezzo, 20 ottobre 2021 – Dal 1 settembre 2021 è iniziato con regolarità il servizio di Infermiere di Famiglia e di Comunità in tutta la ASL Toscana sud est, professionisti che sette giorni su sette seguono i pazienti direttamente a casa loro.
“Siamo una delle prime aziende in Italia ad aver attivato questa nuova modalità di fare assistenza, dichiara il Direttore Generale della Asl Antonio D’Urso, ed oggi a quasi due mesi dal suo avvio possiamo dire che questa formula piace ai cittadini e aiuta concretamente le persone direttamente nelle loro abitazioni.”
Giada, Paolo ed Elisa sono tre degli oltre 330 infermieri che assistono i pazienti a casa in tutta la Asl Tse. Ognuno di essi ha una zona che comprende almeno 3000 abitanti. A Giada è stato assegnato un grande quartiere urbano di Arezzo, Paolo lavora in Valdichiana ed Elisa in Valdarno.
“Uno dei principali cambiamenti del nostro lavoro, dichiara Giada givanissima infermiera che opera tra i grandi palazzi del centro cittadino di Arezzo, è stato quello di prenderci in carico gli assistiti di una area circoscritta e questo è senza dubbio un elemento positivo. I pazienti vedono sempre le stesse persone, si sentono più sicuri ed il rapporto con noi anche dal punto di vista empatico è più profondo.
Parto la mattina presto ed il nostro primo impegno è quello di effettuare i prelievi, poi inizio con la somministrazione delle terapie endovenose e le varie medicazioni, poi avendo tutti noi un telefono di servizio veniamo spesso contattati da altri cittadini e la nostra giornata può variare molto a seconda delle richieste.
Le motivazioni di una telefonata sono le più disparate, dalla flebo che si è fermata, all’esigenza di fissare una visita specialistica, da informazioni sui farmaci o segnalare un problema di salute di un parente o amico. Mi è capitato spesso che nel corso di una visita in una famiglia, un parente si presenti per un approfondimento e da li parte un nuovo intervento, e i casi sono diventati due.”
“La prima cosa da fare, raconta Elisa che segue pazienti in una vasta area del Valdarno, è stabilire un rapporto di fiducia con il paziente e soprattutto con la famiglia. Noi non abbiamo un reparto, dobbiamo curare e rassicurare i pazienti a casa loro.
Dobbiamo dare grande fiducia alla famiglia come la famiglia la deve dare a noi, è solo così che questo percorso può funzionare.
Ogni visita è anche un momento di confronto con tutta la famiglia. In un’occasione mentre seguivo il marito per una cura ad una lesione cutanea, la moglie si è avvicinata per racontarmi di un suo malessere, l’ho visitata ed ho scoperto una lesione, poi rivelatasi derivante da insufficienza venosa. Poi uscendo un vicino di casa vedendomi mi ha avvicinato per farmi vedere una lesione all’arto destro (rivelatasi poi una lesione vascolare) per cui in una sola missione ho visitato tre persone attivando anche percorsi specialistici.
Questa storia dimostra che le persone assistite iniziano a riconoscere in noi una figura professionale vicina e affidabile, e questo è, secondo me la soddisfazione più grande.”
“Mi occupo di assistenza domiciliare da 11 anni, dichiara Paolo che lavora nella Valdichiana aretina. L’elemento centrale del nostro lavoro è la riconoscibilità. Quando cominci ad operare in un territorio circoscritto, cominci a conoscere l’assistito ma anche la famiglia ed il contesto.
E’ fondamentale già nel primo accesso fare una valutazione globale.
Noi entrando nella casa valutiamo non solo le condizioni cliniche ma anche quelle sociali ed ambientali. Dobbiamo essere preparati e professionali ed entrare subito in rapporto con il care giver, colui che si prenderà cura del paziente una volta che noi andiamo via.
Una parte importante del nostro lavoro è addestrare la famiglia alla cura. La nostra prestazione non prevede di stare li tutto il giorno.
E’ importante ricordare che la persona, proseguue Paolo non è ricoverata in ospedale. Il nostro compito è anche quello di istruire una vera e propria equipe familiare.
Ricordo la vicenda di una persona obesa che aveva grosse difficoltà, non solo logistiche ma anche emotive e caratteriali, ad accedere ai servizi. Pur di non uscire e non avere nessuno in casa ha cercato più volte di farsi medicazioni da solo. In questo caso il mio impegno è stato molto particolare ed incentrato su aspetti psicologici e umani. Non dobbiamo mai dimenticarci che noi entriamo nelle case delle persone che sono i luoghi dell’intimità e della vita privata.
E’ stato un lavoro lungo, ma alla fine sono riuscito a convincere il paziente a fare visite in ambulatorio e da allora la situazione è cambiata e il paziente sta guarendo con regolarità.”
“In queste settimane di avvio, dichiara Vianella Agostinelli, Direttore Infermieristico dipartimento professioni infermieristiche ed ostetricie, stiamo comprendendo sul campo quanto questa innovazione possa cambiare il modo di fare assistenza sanitaria fuori dagli ospedali.
Gli infermieri di famiglia sono dei veri punti di riferimento per l’intera comunità e anche la collaborazione con i MMG ed i Pediatri sta andano molto bene. Nel nuovo modello di sanità che sta uscendo dalla pandemia la figura degli infermieri di famiglia sarà centrale. Il nostro impegno sarà quello di fornire di tutti gli strumenti necessari questi professionisti perchè operino al meglio per il bene dei pazienti”.
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