E’ quanto emerge da una survay condotta su 300 specialisti oncologi e pubblicata su Frontiers in Oncology.
La malnutrizione è molto diffusa nei pazienti oncologici. Questo stato, associato a diverse tipologie di tumori maligni, può portare a diverse conseguenze negative, tra cui prognosi infausta, sopravvivenza ridotta, aumento della tossicità della terapia, ridotta tolleranza e compliance ai trattamenti, diminuita risposta ai farmaci antineoplastici. È quanto evidenziato da una recente survey pubblicata su Frontiers in Oncology e condotta su 300 specialisti oncologi. Il tema è stato discusso anche in occasione del VI convegno nazionale sul tumore gastrico, organizzato dall’associazione “Vivere senza stomaco, si può”.
“Il primo obiettivo di un paziente gastro-resecato, oppure di una persona che si ritrova a dover subire una gastro-resezione, è vivere – sottolinea Claudia Santangelo, presidente dell’Associazione “Vivere senza stomaco, si può” –. Una volta conclusa la chirurgia, inizia la consapevolezza che nutrirsi diventa qualcosa di vitale, di importante. Purtroppo, non sempre questa informazione è veicolata all’inizio del percorso di cura. Non è ancora stato ben chiarito che la nutrizione clinica è una terapia che aiuta a guarire e a non riammalarci”.
In Italia ci sono solo poche unità multidisciplinari che prevedono all’interno la figura del nutrizionista con un PDTA strutturato e attivo. Tra queste isole felici figura il Policlinico Umberto I di Roma, dove opera il professor Maurizio Muscaritoli, tra gli autori della ricerca pubblicata su Frontiers in Oncology.
Lo studio italiano – Il sondaggio era composto da 44 item, è stato attivo per 45 giorni e ha interessato un campione di 300 medici oncologi ospedalieri attivi, rappresentativo di una popolazione di riferimento di 5.616 oncologi. Sulla base dei criteri di inclusione i medici ospedalieri coinvolti gestivano pazienti affetti da tumori del tratto gastrointestinale, tumori del pancreas e tumori testa-collo e a rischio di malnutrizione, durante la chemioterapia/radioterapia.
Il questionario era semi-strutturato per soddisfare gli obiettivi dell’indagine e comprendeva domande sui dati demografici dei partecipanti e domande relative a tre aree chiave: 1) consapevolezza e comprensione della malnutrizione; 2) atteggiamento e propensione dei clinici e dei loro centri verso la nutrizione clinica; 3) suggerimenti su come aumentare la consapevolezza dei medici sull’importanza della nutrizione clinica in ambito oncologico. Dal sondaggio emerge che il 51% dei medici, a causa delle condizioni di malnutrizione del paziente, non ha potuto iniziare trattamenti farmacologici per la malattia di base.
“I pazienti si trovano spesso in condizioni nutrizionali tali da sentirsi dire che purtroppo il trattamento deve essere rimandato perché le condizioni generali non consentirebbero di effettuare la terapia in maniera adeguata, soprattutto dal punto di vista della durata e della intensità di dose – spiega il professor Muscaritoli, professore ordinario di Medicina interna al Dipartimento di Medicina traslazionale e di precisione dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza –. Fino a qualche anno fa non c’erano gli strumenti per prevenire il deterioramento dello stato di nutrizione, quindi la perdita di peso involontaria. Oggi gli strumenti ci sono, ma ancora non c’è una sufficiente consapevolezza dell’impatto negativo che le alterazioni nutrizionali possano avere non solo sulla qualità di vita, ma anche sul successo terapeutico”.
I risultati dell’indagine indicano che, nonostante gli alti livelli di consapevolezza tra gli oncologi italiani, la malnutrizione nei malati di cancro rimane, almeno in parte, un’esigenza medica insoddisfatta, e sono necessari ulteriori sforzi in termini di maggiore formazione, assunzione di personale e di creazione di percorsi organizzativi finalizzati all’ottimizzazione del trattamento nutrizionale sulla base delle ormai numerose evidenze disponibili.
“Lo studio – continua Muscaritoli – ha avuto l’obiettivo di valutare la situazione italiana, essendoci disponibili solo informazioni derivanti da survey internazionali, dalle quali abbiamo compreso che la percezione dell’importanza dell’impatto nutrizionale della malattia oncologica è nettamente maggiore tra i pazienti rispetto ai medici. Dobbiamo dunque capire se e dove noi dobbiamo implementare percorsi che possano migliorare la situazione. Questo studio è stato fatto su 300 oncologi attivi, quindi che esercitano la professione in ambito ospedaliero in tutte le regioni d’Italia e quindi fornisce dei risultati molto attendibili”.
Fortunatamente comincia a esserci tra gli oncologi una buona consapevolezza della problematica. Quello che però gli oncologi lamentano ancora è che spesso mancano le infrastrutture per potere avviare un percorso di screening e monitoraggio nutrizionale nei pazienti oncologici. Le linee guida internazionali raccomandano che lo screening sia eseguito su tutti i pazienti sin dal momento della diagnosi di malattia o dalla prima visita oncologica. Ovviamente ci sono alcune malattie oncologiche che impattano meno sullo stato di nutrizione e altre che impattano molto di più. Per esempio il tumore della mammella impatta inizialmente molto poco sullo stato di nutrizione, mentre il tumore dello stomaco e del pancreas impattano molto di più.
Nutrizione e formazione dei medici – È necessario l’insegnamento della nutrizione sia inserito ufficialmente nel corso di laurea in Medicina e chirurgia, e soprattutto nelle scuole di specializzazione in Oncologia medica e Radioterapia oncologica, perché il nostro Sistema sanitario nazionale ha bisogno di medici che abbiano conoscenze e competenze in ambito nutrizionale, nell’ottica di trattamenti multimodali e costo-efficaci.
Figura di riferimento, prosieguo di cura, collegamento ospedale-territorio – La figura di riferimento per il paziente oncologico è in genere l’oncologo, nonostante ci sia un accordo Stato-Regioni firmato diversi anni fa che prevede la figura di un nutrizionista all’interno di una struttura che prende in carico il malato oncologico. È quindi indispensabile vigilare e agire nelle sedi appropriate affinché tale accordo non sia disatteso. Nel migliore dei casi è l’oncologo a inviare a una figura specializzata, quindi a un medico nutrizionista, soprattutto nel caso dei pazienti gastroresecati che per definizione soffrono di malnutrizione.
Altra problematica è il prosieguo di cura nutrizionale a domicilio se manca il collegamento tra ospedale e territorio. Nel post-operatorio, a casa, i pazienti si trovano spesso soli a dover decidere in tale ambito. Esiste un documento importante, che è quello delle linee di indirizzo per i percorsi nutrizionali nel malato oncologico, emanato dal ministero della Salute nel 2017.
“I dati della survey – conclude Muscaritoli – ci dicono che effettivamente esistono delle differenze anche di consapevolezza negli oncologi tra nord, centro e sud ma anche di accesso alle cure perché un malato oncologico nel nord ha più probabilità di avere accesso alle cure nutrizionali di quanto non succeda nel centro-sud, quindi, anche qui si delineano diversi piani per strategie di intervento. Le linee guida sono spesso scritte da specialisti e lette da super specialisti invece nel caso della nutrizione che ha delle implicazioni di tipo trasversale bisogna che le indicazioni delle linee guida vengano rese disponibili e rese intellegibili, anche per i pazienti. Per tale motivo le grandi società di nutrizione clinica si occupano anche di produrre delle versioni semplificate delle linee guida come è stato fatto dalla Società europea di nutrizione clinica e metabolismo (Espen) che ha prima prodotto le linee guida in formato esteso e poi una versione semplificata, che ho curato personalmente. Questa versione è stata tradotta in diverse lingue a cura delle Società federate Espen ed è ora disponibile su app”.
Redazione Nurse Times
Fonte: PharmaStar
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