Il dottor Carlo Pisaniello (Associazione avvocatura degli infermieri) commenta la relativa sentenza.
La sentenza – Con la sentenza della Cass. Penale, IV sez., n. 7092 del marzo 2022, il supremo consesso ha ridefinito i contorni ed il ruolo del “preposto alla sicurezza” nei luoghi di lavoro, soprattutto in ossequio della novella normativa del 2021 che ha modificato il T.U. n. 81/2008.
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 7 novembre 2018, assolveva F.M. dal reato di cui agli artt. 113, 590 commi primo, secondo e terzo, 583, comma secondo, n. 3, cod. pen., contestato in cooperazione con T.A., originario coimputato assolto con la sentenza di primo grado (lesioni gravissime personali ai danni di B.V. di durata superiore a quaranta giorni consistite nella perdita di un organo per effetto dello scoppio del bulbo oculare destro).
L’imputazione a carico del F.M. consisteva nell’aver cagionato, in qualità di preposto di fatto alla sicurezza dell’impresa “C.L.E.B. Cooperativa Bresciani” – ai sensi dell’art. 299, in relazione all’art. 2, comma 1, lett. b, d ed e), D.Lgs. n. 81 del 2008: lesioni nei confronti di B.V. per colpa generica e per l’omessa predisposizione di adeguate misure di prevenzione e protezione da adottare per eliminare il rischio durante i lavori di “casseratura”, ove si trovava ad operare il B.V. insieme al collega R.B..
Con la sentenza di primo grado, il Tribunale di Milano dichiarava F.M. responsabile del reato a lui ascritto e lo condannava alla pena ritenuta di giustizia nonché al risarcimento dei danni alla parte civile costituita, da liquidarsi in separata sede. Assolveva invece il T.A., coordinatore per la sicurezza, con la formula “perché il fatto non costituisce reato”.
L’istruttoria non consentiva di accettare le esatte dinamiche del fatto, ma sembra che la barra che colpì l’operaio all’occhio, sporgesse di oltre 15 cm fuori dal cassero, la parte lesa asseriva di essere stata colpita nel mentre si tirava su dopo aver raccolto un pezzo per l’ancoraggio della barra di sicurezza e di prevenzione e sul corretto approntamento dei casseri, quali opere provvisionali, da parte del B.V. e del R.B. (art. 19, comma 1, lett. a), d. Lgs. n. 81 del 2008
Nella sentenza di primo grado si era evidenziato che, ai sensi dell’art. 123 D.lgs. n. 81 del 2008, all’interno dei cantieri temporanei o mobili il preposto alla sicurezza deve sorvegliare il montaggio e lo smontaggio delle opere provvisionali e che l’obbligo di vigilare sulle attività di armo e disarmo dei casseri si estende ad ogni fase della lavorazione compreso l’ancoraggio delle pareti con le barre filettate, e non può essere circoscritto alla sola posa in opera del cassero.
L’imputato FM, presente nel cantiere al momento dei fatti, dichiarava che la postazione in cui si trovava era inidonea a verificare le attività di lavorazione ed era quindi impossibilitato a svolgere la sua attività di vigilanza, per tali motivi la Corte Territoriale assolveva anche FM dal reato a lui ascritto per insussistenza del fatto reato.
La parte lesa proponeva ricorso in cassazione avverso la sentenza della Corte di appello per violazione degli artt. 43 e 590 cod. pen., 19 D.Lvo n. 81 del 2008, poiché secondo il ricorrente il preposto FM avrebbe ordinato agli operai di operare con modalità manifestatamente pericolose anche in base alle testimonianze di altri operai presenti sul luogo.
Per questi motivi il preposto FM avrebbe dovuto informare gli operai delle condizioni di lavoro e prevedere un metodo di lavoro sicuro che gli garantisse adeguate protezioni. Secondo parte ricorrente, quindi, non erano individuabili elementi che, da un lato, potessero escludere la manifesta colpa del F.M., che ordinava personalmente quale preposto un lavoro in condizioni di grave rischio e in una deficitaria situazione formativa ed informativa, e, dall’altro, il nesso causale tra tale responsabilità e l’evento.
FM con memoria difensiva chiedeva il rigetto dei motivi di ricorso che erano sostanzialmente compendiabili nel mancato esame, da parte della Corte territoriale, del profilo di colpa connesso “all’implicita rischiosità della specifica situazione logistica in cui il F.M. aveva posto a lavorare il B.V.”.
La Suprema corte, dichiara il ricorso fondato, chiarendo in modo preciso le qualifica e le funzioni del preposto alla sicurezza, ricostruendo la normativa e le caratteristiche del titolo: il preposto (la cui posizione è assimilabile a quella del capo cantiere) è un soggetto che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende all’attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa.
Il preposto, pertanto, è titolare di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità dei lavoratori e risponde degli infortuni loro occorsi a causa della violazione degli obblighi derivanti da detta posizione di garanzia, purché sia titolare dei poteri necessari per impedire l’evento lesivo in concreto verificatosi (Cass. Pen. sez. 4, n. 12251 del 19/06/2014, dep. 2015, De Vecchi, Rv. 263004); egli sovrintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, verifica il rispetto delle normative antinfortunistiche, attua le direttive ricevute e ne controlla l’esecuzione, sicché egli risponde delle lesioni occorse ai dipendenti (Cass. Penale, sez. 4, 27 febbraio 2013, n. 9491), fattispecie nella quale è stata ritenuta la responsabilità del capo-cantiere in ordine al reato di omicidio colposo per non aver impedito l’uso di un escavatore ribaltatosi per l’elevata pendenza dei luoghi;
Si tratta, infatti, di un soggetto la cui sfera di responsabilità è modellata sui poteri di gestione e di controllo di cui concretamente dispone, atteso che, ai sensi dell’art. 299, D.lgs. n. 81 del 2008, la posizione di garanzia grava anche su colui che, non essendone formalmente investito, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e ad altri garanti ivi indicati; l’individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni effettivamente esercitate e sui poteri di cui si dispone, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale (Cass. penale sez. 4, n. 18090 del 12.01.2017)
Il preposto assume la qualità di garante dell’obbligo di assicurare la sicurezza sul lavoro, tra cui rientra il dovere di segnalare situazioni di pericolo per l’incolumità dei lavoratori e di impedire prassi lavorative contra legem. Non è configurabile la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l’infortunio occorsogli, allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l’instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli.
In definitiva la corte, quindi, cassava con rinvio alla Corte di appello in diversa composizione per la rivalutazione del profilo di responsabilità del preposto in virtù anche della scarsa motivazione addotta dalla sentenza appellata.
Anche se la sentenza non fa menzione della novella normativa riferibile alla nuova figura del preposto ai sensi del decreto-legge 146/2021, novella che impone al datore di lavoro una precisa individuazione del preposto ed a cui spetrerebbe anche un emolumento specifico, comunque chiarisce bene quale sia la condizione ed i poteri che cotui deve necessariamente avere ai fini dell’attività richiesta.
La figura del preposto e quella del coordinatore infermieristico – Orbene, come si evince anche dalla succitata sentenza, la figura del coordinatore infermieristico non può avvicinarsi per nulla alla fattispecie ed alle caratteristiche a cui la stessa giurisprudenza fa riferimento ai fini della configurazione del preposto alla sicurezza. I motivi di questa incompatibilità sono facilmente dimostrabili, partendo proprio dalla definizione giurisprudenziale di preposto alla sicurezza, definizione che potrebbe di primo impatto far pensare ad una lontana verosimiglianza dei ruoli, ma nella realtà così non è: “il preposto (la cui posizione è assimilabile a quella del capo cantiere) è un soggetto che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende all’attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”.
Ora, come si legge nella definizione vengono utilizzati dei lemmi ben precisi, soprattutto quando si fa riferimento ai poteri gerarchici del coordinatore. Ma in ambito sanitario questi poteri sono esercitabili solo ed esclusivamente verso quelle figure che funzionalmente e contrattualmente sono “subalterne” o “sotto-ordinate” ad esso, ossia, il personale ausiliario, c.d. di supporto, i lavoratori delle ditte appaltatrici di pulizia ed altre figure non professionali che ruotano nell’ambito del servizio o del reparto da lui gestito, ma non di certo non sono esercitabili verso figure di pari livello contrattuale.
Il potere “gerarchico” è una qualità ben precisa che prevede una subordinazione prevista contrattualmente e che nella declaratoria contrattuale possiamo sintetizzare nel seguente modo: livello D è sovraordinato rispetto al livello C; B; A.
Quindi, il potere gerarchico può essere esercitato solo sul personale di grado inferiore, un po’ come avviene nelle forze dell’ordine e negli apparati militari, ma parimenti, non può essere quindi esercitato sul personale di pari livello contrattuale come quello infermieristico, tecnico o ostetrico.
Il motivo è evidente, il coordinatore è nella declaratoria contrattuale di riferimento CCNL comparto sanità 2016/2018, collocato in categoria D e l’infermiere, l’ostetrica o il tecnico sono collocati, secondo la medesima declaratoria contrattuale, nella medesima categoria, ossia la D., non vi è quindi una differenza formale tra i vari profili.
Non può quindi sussistere una subordinazione gerarchica intesa in senso “tecnico-formale” infatti, il coordinatore ad esempio, non è tra i soggetti individuati dalla normativa che può esercitare direttamente i poteri disciplinari contro le figure sopra elencate, nel senso che, può sì segnalare eventuali comportamenti non conformi ai codici di comportamento (D.P.R. 62/2013) ma non può in autonomia attivare il procedimento disciplinare, svolgere le attività istruttorie, giudicare e quindi sanzionare il lavoratore.
Cosa che è invece concessa alla Dirigenza infermieristica, questa sì, invece, è sovraordinata gerarchicamente alle altre figure professionali. Per altro lo stesso potere di segnalare eventuali inadempimenti disciplinari è in capo anche a tutte le altre figure presenti nell’organizzazione aziendale al pari di chiunque altro, compresi terzi estranei; quindi, è un potere “sui generis” e non precipuo del coordinatore.
Semmai volessimo quindi individuare una qualche forma di subordinazione, al massimo potremmo ipotizzare una “subordinazione” solo “funzionale”, ovvero, organizzativa, ma non certo nel senso di intendere che il coordinatore organizzi il lavoro dell’infermiere, come indicato ad es. nella sentenza in oggetto “egli sovrintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, verifica il rispetto delle normative antinfortunistiche, attua le direttive ricevute e ne controlla l’esecuzione, sicché egli risponde delle lesioni occorse ai dipendenti (Cass. Penale, sez. 4, 27 febbraio 2013, n. 9491)cosa che non è normativamente prevista per la figura del coordinatore, poiché come ribadito in più sentenze ex plurimis (Cass. Pen. IV sez. n. 5 del 2 gennaio 2018) l’infermiere è un professionista “autonomo” in grado di gestire le proprie attività, se quindi è autonomo nei confronti del medico che per legge è un superiore gerarchico come non potrebbe esserlo nei confronti di un suo pari? primus inter pares dicevano i latini.
Non sussiste quindi una sovra-ordinazione del coordinatore rispetto all’infermiere ma solo la facoltà della gestione delle risorse umane ad esso assegnate e come tale quindi, gli viene riconosciuto un potere “gestionale” riferibile solo all’organizzazione del servizio cui presta la propria opera e con le risorse umane a disposizione.
Ciò non toglie che, in caso di mancanza di risorse umane sufficienti, il coordinatore non potrebbe comunque violare la legge ed imporre ad es. doppi turni in contrasto con la normativa comunitaria – direttive 93/104/CE e 2000/34/CE – e con il D.lgs. n. 66/20003.
La figura del preposto poi, nel 2021, ha subito ulteriori aggiornamenti attraverso delle modifiche apportate al T.U. 81/2008, novellazione ad opera del decreto-legge 146/2021 e della successiva nota di aggiornamento del 12 gennaio 2022 “Conversione in legge del Decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146. Profili di salute e sicurezza”.
Novellazione che ha comportato, come vedremo specificatamente nel paragrafo successivo, delle modifiche sostanziali oltreché formali della figura del preposto, soprattutto in fatto di poteri, ma anche di oneri riconducibili ad una posizione di garanzia non più aleatoria ma bensì molto più concreta. Tali modifiche, quindi, sono talmente incisive da non consentire una sovrapposizione tra la figura del preposto e quella del coordinatore infermieristico anche se molti datori di lavoro ancora oggi, soprattutto in ambito di sanità sia pubblica che privata, perseguono illegittimamente.
In particolare, la novellazione è avvenuta ad opera del D.L. 146/21, che ha integrato l’art. 18, del T.U. 81/2018 a cui viene aggiunta una lettera al comma 1, e precisamente la lett. b-bis) la quale, prevede tra le tante cose che: “Il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all’articolo 3, e i dirigenti, che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono(…) individuare il preposto o i preposti per l’effettuazione delle attività di vigilanza di cui all’articolo 19. I contratti e gli accordi collettivi di lavoro possono stabilire l’emolumento spettante al preposto per lo svolgimento delle attività di cui al precedente periodo. Il preposto non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività”
Di conseguenza, non può più esistere un “preposto di fatto” figura giurisprudenziale creata al fine di individuare comunque una responsabile, presente sul posto, oltre a quella del datore di lavoro.
Con la novellazione normativa infatti, da oggi, il datore di lavoro è obbligato, in ogni organizzazione, non solo ai sensi del novellato art. 18, comma 1, lett. b-bis) ma anche dalle risultanze della sentenza oggetto del presente articolo (Cass. Penale, IV sez., n. 7092 del marzo 2022) ad individuare un lavoratore o più lavoratori, come “preposti alla sicurezza” e viene demandato alla contrattazione collettiva poi, la scelta, ovvero, la facoltà, di erogare agli stessi un corrispettivo economico per l’attività svolta.
Quanto poi, all’ultimo capoverso del medesimo comma, si legge “Il preposto non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività” questo deve intendersi nel senso che; l’attività di preposto non deve in alcun modo subire contrazioni o limitazioni del potere lui attribuito, soprattutto da parte del datore di lavoro, il quale, non potrà quindi ingerirsi nelle specifiche competenze del preposto, ovvero, tentare ad esempio di fargli omettere determinati controlli o verifiche al fine di migliorare la produzione o ridurre i costi di esercizio. Il preposto deve essere quindi libero di poter esercitare i suoi poteri, financo ad interrompere la linea produttiva in caso mancanza dei presupposti di sicurezza.
I nuovi obblighi del preposto – Tra i nuovi compiti del preposto c’è quindi un ampliamento dell’azione e dei compiti assegnati, soprattutto al verificarsi di condizioni di insicurezza che riguardano aspetti “comportamentali” dei lavoratori, idoneità dei mezzi e delle attrezzature.
La norma introduce quindi nuovi obblighi per il preposto, che vanno ad aggiungersi a quelli già previsti all’articolo 19 del Testo Unico. Dunque, in presenza di “non conformità comportamentali in ordine alle disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro e dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale”, il preposto alla sicurezza è ora tenuto:
- il preposto deve intervenire per modificare il comportamento non conforme, fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza in caso di rilevazione di non conformità comportamentali in ordine alle disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro e dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale;
- in caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza della inosservanza, il preposto deve interrompere l’attività del lavoratore e informare i superiori diretti;
- in caso di rilevazione di deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e di ogni condizione di pericolo rilevata durante la vigilanza, se necessario, interrompere temporaneamente l’attività e, comunque, segnalare tempestivamente al datore di lavoro e al dirigente le non conformità rilevate.
Alla luce delle recenti novità, insomma, il preposto assume un ruolo di primaria importanza e di assoluta centralità, al fianco del datore di lavoro e del dirigente.
Come anche segnalato dalla nota di Confindustria, l’interpretazione giurisprudenziale potrebbe portare perciò a una distinzione tra vigilanza comportamentale (affidata al preposto) e alta vigilanza (propria del datore di lavoro) ma questi sono dettagli che comunque non modificano nulla rispetto alla qualificazione originaria del preposto in relazione alla figura del coordinatore infermieristico che non ha di questi poteri.
Se infatti per un capo cantiere è possibile interrompere l’attività degli operai onde garantirne nell’immediato la loro sicurezza, meno probabile è per il coordinatore riuscire ad interrompere attività di particolare delicatezza come ad esempio un intervento chirurgico, ovvero, una prestazione terapeutica salvavita o ancora l’impianto di un defibrillatore o di un pacemaker, oppure una prestazione sanitaria ambulatoriale di tipo diagnostico.
Ciò significherebbe infatti che, oltre a commettere un probabile illecito disciplinare che come tale potrebbe quindi essere sanzionato dal datore di lavoro, si ricadrebbe probabilmente anche nella commissione di un reato che potrebbe concretizzarsi come un abuso d’ufficio ex art. 323 c.p. o peggio ancora come una interruzione di pubblico servizio ex art. 340 c.p..
Il tutto proprio perché essendo attività di natura strettamente sanitaria e non industriali, il bene giuridico protetto dalla norma, a differenza di quelli patrimoniali che potrebbero essere lesi nell’interruzione improvvisa di una attività produttiva come quella industriale o commerciale, riguarda invece profili costituzionalmente tutelati dall’art. 32 Cost. come il bene alla salute ed all’integrità fisica che potrebbero essere seriamente compromessi da una brusca ed immotivata interruzione.
Il coordinatore, ma chiunque altro, può quindi segnalare al datore di lavoro eventuali comportamenti non conformi di alcuni lavoratori, che, come tali, andrebbero quindi indagati ed eventualmente sanzionati, ma interrompere attività chirurgiche urgenti o somministrazioni di terapie salvavita non solo non sarebbe auspicabile ma in concreto anche impossibile e foriero di probabili ed ulteriori compromissioni di diritti costituzionalmente protetti.
Perché il coordinatore non può essere preposto alla sicurezza – Appurato quindi che, la nuova figura del preposto ha assunto poteri simil-datoriali, possiamo ora spostare l’attenzione sulle motivazioni sottese al fatto che il coordinatore infermieristico, ma anche tecnico non può assumere tale ruolo.
I motivi in parte li abbiamo già elencati, infatti, quando parliamo di attività di vigilanza e controllo in ambito sanitario, dobbiamo partire dal presupposto che ci rivolgiamo a varie figure professionali definite dalla normativa contrattuale come figure “professionali sanitarie”, nello specifico, trattasi di professionisti sanitari ai sensi dell’art. 2229 c.c. che recita “La legge determina le professioni intellettuali [2068, 2956, n. 5] per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi [2061] L’accertamento dei requisiti per l’iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati [alle associazioni professionali], sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente [2642]. Contro il rifiuto dell’iscrizione o la cancellazione dagli albi o elenchi, e contro i provvedimenti disciplinari che importano la perdita o la sospensione del diritto all’esercizio della professione è ammesso ricorso in via giurisdizionale nei modi e nei termini stabiliti dalle leggi speciali”.
Le professioni intellettuali, come quella infermieristica, sono quelle attività caratterizzate dall’importanza assunta dalla cultura e dall’intelligenza del soggetto che la svolge e la esegue nel rispetto della piena autonomia, con ampi poteri discrezionali affidati al professionista stesso.
Queste professioni sono disciplinate dalla Costituzione, all’art. 33, comma 5, che prevede la necessità di superare un esame di Stato al fine di ottenere l’abilitazione professionale e dal codice civile, nel titolo terzo del libro quinto, infatti, l’infermiere per poter operare nell’ambito sanitario deve aver superato un esame di Stato che lo abilita ad esercitare la professione, esattamente come qualsiasi altra professione intellettuale, avvocati, notai, magistrati, ingegneri, architetti, commercialisti.
La collocazione di tali norme, nell’ambito della disciplina del lavoro autonomo, lascia dedurre che il professionista intellettuale dispone di una certa discrezionalità circa le modalità di esecuzione della prestazione che gli è stata commissionata, proprio come accade nel caso del lavoratore autonomo.
A conferma di tale interpretazione, l’art. 2230 c.c. stabilisce che la normativa dettata per il contratto d’opera in generale è applicabile anche alle fattispecie delle professioni intellettuali, se ciò̀ è compatibile con la natura del contratto.
Trattasi quindi professioni intellettuali che utilizzano il sapere scientifico misto ad attività manuali ultra-specialistiche, non certo di operai di un cantiere edile come spesso si trova ad argomentare la Suprema Corte, del resto, gli incidenti in ambito lavorativo, almeno quelli di una certa entità lesiva o con eventi terminali come la morte, si riscontrano sovente appunto in ambito di appalti per cantieri edili, nelle fabbriche, nelle costruzioni di ponti, strade, acquedotti non di certo negli ospedali o nelle strutture sanitarie, all’interno delle quali, seppure non escludibili ex ante, si verificano con modalità del tutto residuali ed in numeri del tutto irrilevanti ai fini statistici e giuslavoristici.
Nelle strutture sanitarie poi, i DPI sono presenti ovunque, tranne alcuni rari casi di mala gestio e soprattutto sono utilizzati dal personale sanitario, il quale, precedentemente è stato adeguatamente formato ed informato, infatti, già all’università viene data loro una specifica formazione riguardo ai DPI da utilizzare durante le varie attività, dispositivi dai quali non si può prescindere e senza i quali l’attività non potrebbe proprio iniziare.
Ed è quindi altamente improbabile che il professionista non si tuteli quando esegue attività assistenziali o chirurgiche a rischio, sia esso infettivo, ovvero, di altra natura.
Forse, l’unico evento di questi ultimi decenni che ha provocato eventi fatali al personale sanitario è stato l’avvento dell’infezione da Sars-Cov2, che ha trovato impreparati un po’ tutti soprattutto per l’inadeguatezza o comunque per il mancato aggiornamento dei piani pandemici Ministeriali, ma per il resto, compreso il rischio sanitario effettivo, si è subito provveduto a rifornire il personale di materiale protettivo adeguato.
In questa specifica circostanza determinata dalla pandemia da Sars-Cov2, il coordinatore comunque non avrebbe avuto modo di interagire con il personale infermieristico a rischio contagio o a rischio infettivo, perché più di verificare che vi fossero a disposizione del servizio o dell’unità operativa gli ausili necessari per limitare il più possibile il contagio non avrebbe potuto certo fare, considerando anche che, sono stati gli operatori direttamente coinvolti a munirsi dei presidi messi a loro disposizione per la propria incolumità ancor prima delle raccomandazioni ministeriali.
Per altro, va sottolineato che, il coordinatore infermieristico svolge la sua attività prettamente nel turno antimeridiano, non essendo presente nei giorni festivi o nei turni notturni, mentre nei cantieri edili, nelle fabbriche, nei lavori stradali che si svolgano di giorno o di notte o in una giornata festiva, c’è sempre la presenza del capo cantiere che supervisiona le attività e coordina gli interventi, ma negli ospedali, nei servizi territoriali o nei pronto soccorsi, la figura del coordinatore non è mai presente al di fuori degli orari su indicati e per altro sarebbe superflua.
Inoltre, se raffrontiamo la categoria del coordinatore (quale preposto) e la categoria dell’infermiere (quale operatore) non possiamo non notare che tra le due figure non ci sono in realtà differenze formali di natura contrattuale, ma semmai solo di natura sostanziale, riferibili più che altro alle differenti attività che le due figure svolgono all’interno della medesima organizzazione sanitaria.
Infatti, il profilo giuridico e contrattuale dell’infermiere, nella declaratoria contrattuale di riferimento è riferibile alla categoria D, esattamente come quella del coordinatore, in quanto, le due figure emergono dallo stesso profilo professionale cioè quello di infermiere, con la differenza che mentre il coordinatore svolge attività meramente amm.ve all’interno del servizio o dell’U.O. che coordina, l’infermiere assegnato nella stessa unità operativa o servizio, svolge invece attività di natura assistenziale e tecnico-professionale.
Ma sono e rimangono sempre in categoria D, anzi, per assurdo, con la contrattazione 2016/18 per vedersi conferito un incarico di tipo organizzativo per le solo funzioni di coordinamento è sufficiente: “il possesso dei requisiti di cui all’art. 6, comma 4 e 5 della legge n. 43/2006. Il requisito richiesto per il conferimento degli ulteriori incarichi di organizzazione è il possesso di almeno cinque anni di esperienza professionale nella categoria D. La laurea magistrale specialistica rappresenta un elemento di valorizzazione ai fini dell’affidamento degli incarichi di maggiore complessità”.
E’ del tutto evidente quindi che ciò significa che, per assurdo, un infermiere con 30 anni di servizio, collocato in categoria D, fascia retributiva D6, potrebbe ritrovarsi ad essere coordinato da un collega che ha superato la prova concorsuale interna per l’incarico di coordinatore, magari con soli 7 anni di servizio in categoria D, fascia retributiva D0, con un evidente squilibrio ma a parti inverse, se si analizzasse solo ed esclusivamente la posizione giuridica e retributiva dei due ruoli.
Di fatto, quindi, non c’è una identificata “sovra-ordinazione” tra i due profili professionali ma solo ruoli diversi. Se analizziamo nel dettaglio ciò che la giurisprudenza di legittimità intende con qualifica di preposto alla sicurezza, anche prima della novellazione del 2021, vediamo che viene definito come “(…) il titolare di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità dei lavoratori e risponde degli infortuni loro occorsi a causa della violazione degli obblighi derivanti da detta posizione di garanzia, purché sia titolare dei poteri necessari per impedire l’evento lesivo in concreto verificatosi (Cass. Pen. sez. 4, n. 12251 del 19/06/2014, dep. 2015, De Vecchi, Rv. 263004); egli sovrintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, verifica il rispetto delle normative antinfortunistiche, attua le direttive ricevute e ne controlla l’esecuzione, sicché egli risponde delle lesioni occorse ai dipendenti (Cass. Penale, sez. 4, 27 febbraio 2013, n. 9491),fattispecie nella quale è stata ritenuta la responsabilità del capo-cantiere in ordine al reato di omicidio colposo per non aver impedito l’uso di un escavatore ribaltatosi per l’elevata pendenza dei luoghi” ancora, “il preposto assume la qualità di garante dell’obbligo di assicurare la sicurezza sul lavoro, tra cui rientra il dovere di segnalare situazioni di pericolo per l’incolumità dei lavoratori e di impedire prassi lavorative contra legem”.
Ora, statuito ciò è chiaro che la figura del coordinatore non è assimilabile neanche lontanamente a quella del capo cantiere perché non ha il potere di gestire personale di pari livello contrattuale e financo di fascia retributiva persino maggiore, ordinandogli la modalità di esecuzione del lavoro o delle attività, perché l’infermiere per natura ordinamentale è autonomo nelle sue scelte operative.
Il tutto scaturisce dalla stessa natura ontologica della figura professionale dell’infermiere, che ricordiamo essere un professionista laureato che in virtù dei poteri conferitigli dal percorso di studi universitari è quindi autonomo in tutto e per tutto rispetto ad altre figure professionali di pari categoria contrattuale e livello retributivo.
Ciò si ricava chiaramente dal combinato disposto degli articoli 1, comma 3, lett. a); c); d) ed e) D.M. n. 739/94 e art. 1, comma 1, Legge n. 42/1999, che sanciscono il primo, l’indipendenza e l’autonomia professionale dell’infermiere e, la seconda, con la perdita definitiva del lemma “ausiliaria” trasformandolo in “professione sanitaria” con la perdita quindi dell’ancestrale dipendenza dalla dirigenza medica per quello che riguardano almeno le scelte assistenziali nei confronti dei pazienti.
Rimane a ben vedere, solo una residua dipendenza soprattutto nelle scelte diagnostico-terapeutiche che sono di competenza medica ma con i limiti posti dal rispettivo profilo professionale e dalla giurisprudenza che, infatti, ha più volte ribadito che l’autonomia professionale si riverbera in una molteplicità di scelte in piena autonomia dell’infermiere, come ad es. quella di non praticare una terapia, (informando anticipatamente il medico prescrittore) se la si ritiene non congrua alle condizioni del paziente, ovvero, inidonea per quella specifica patologia, oppure nei casi nei quali l’infermiere da solo deve prendere decisioni immediate dopo attenta valutazione delle condizioni del paziente.
Infatti, la Suprema Corte in più occasioni così si è espressa “[…] una specifica posizione di garanzia nei confronti del paziente del tutto autonoma rispetto a quella del medico”; “[…] proprio nell’autonoma professionalità dell’infermiere quale soggetto che svolge un compito cautelare essenziale nella salvaguardia della salute del paziente… che va oggi considerato non più “ausiliario del medico”, ma professionista sanitario” (Cass. Pen. IV sez. n. 5 del 2 gennaio 2018). Per concludere quindi è evidente che la figura del preposto, anche a causa della novellazione normativa sopraggiunta, si sia sempre più distanziato in termini sia funzionali che giuridici, dalla figura del coordinatore infermieristico, che svolge invece un ruolo ed una attività del tutto avulsa dal contesto nel quale si pretende operi il preposto alla sicurezza, si auspica quindi che i datori di lavoro identifichino dei soggetti specifici al tipo di ruolo e lascino liberi finalmente i coordinatori infermieristici da responsabilità che non possono certo essergli attribuite se non per legge o per contratto.
Dott. Carlo Pisaniello
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