In Italia il 54% delle infezioni dovute a ‘variante inglese’, il 4,3% a quella ‘brasiliana’ e lo 0,4% a quella ‘sudafricana’.
Il monitoraggio sulla presenza delle varianti del Covid in Italia è stato pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità.
In Italia al 18 febbraio scorso la prevalenza della cosiddetta ‘variante inglese’ del virus Sars-CoV-2 era del 54,0%, con valori oscillanti tra le singole regioni tra lo 0% e il 93,3%, mentre per quella ‘brasiliana’ era del 4,3% (0%-36,2%) e per la ‘sudafricana’ dello 0,4% (0%-2,9%). La stima viene dalla nuova ‘flash survey’ condotta dall’Iss e dal ministero della Salute insieme ai laboratori regionali e alla Fondazione Bruno Kessler.
Il campione richiesto è stato scelto dalle Regioni/PPAA in maniera casuale fra i campioni positivi garantendo una certa rappresentatività geografica e se possibile per fasce di età diverse. In totale, hanno partecipato all’indagine le 21 Regioni/PPAA e complessivamente 101 laboratori, e sono stati effettuati 1296 sequenziamenti.
La “variante inglese” (VOC 202012/01) è stata isolata per la prima volta a settembre in Gran Bretagna. Ha una trasmissibilità più elevata ed è stata ipotizzata una maggiore patogenicità
, ma finora non sono emerse evidenze di un effetto negativo sull’efficacia dei vaccini.La “variante sudafricana” (501 Y.V2) è stata isolata a ottobre in Sudafrica, mentre in Europa il primo caso rilevato risale al 28 dicembre. Ha una trasmissibilità più elevata e dai primi studi sembra che possa diminuire l’efficacia del vaccino. Si cerca di capire se possa causare reinfezioni in soggetti già guariti da Covid.
La “variante brasiliana” (P.1) è stata isolata per la prima volta a gennaio in Brasile e Giappone. A fine gennaio è stata segnalata in 8 Paesi, compresa l’Italia. Si ipotizza una trasmissibilità più elevata e dai primi studi sembra che possa diminuire l’efficacia del vaccino. Come la “brasiliana”, potrebbe causare reinfezioni in soggetti guariti.
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