Come spiegano nella nota di rettifica, gli Opi pugliesi, chiedono, a beneficio dei lettori e a tutela degli Ordini, una corretta informazione e la modifica sulle imprecisioni contenute negli articoli apparsi su La Gazzetta Del Mezzogiorno:
“Il Dott. Scagliarini, nell’articolo odierno, corregge l’errore sul ruolo degli Ordini Infermieri che, chiarisce – non hanno mai presentato ricorso avverso il regolamento regionale n. 10 – e al tempo stesso rende due sue nuove verità totalmente prive di fondamento che a seguire esaminiamo:
Sono queste ultime affermazioni e rappresentazioni di frasi, estrapolate da documenti ufficiali generati dagli OPI di Puglia, a generare nuovi dubbi nei lettori sul ruolo degli OPI, poiché inducono a ipotesi di comportamenti istituzionali incongruenti.
Tanto premesso, a beneficio del Dott. Scagliarini e soprattutto dei lettori della Gazzetta del Mezzogiorno, abituati a documentarsi oltre la punta dell’iceberg, ci preme chiarire alcuni aspetti della complicata questione in esame”, scrivono i presidenti Opi Andreula, Papagni e Scarpa.
“Va aggiunto, per completezza d’informazione al pubblico dei lettori, che la pronuncia del T.A.R. Puglia – Bari è tutt’altro che definitiva, atteso che l’Autorità Giudiziaria si sia pronunciata al momento unicamente sulla domanda di sospensione anticipata degli effetti del Regolamento in pendenza del giudizio.
Quanto ai contenuti dell’ordinanza cui implicitamente allude l’autore dell’articolo di cui si chiede la rettifica (n. 731/2020), il T.A.R. Puglia, pur dando atto che la Corte costituzionale, con sentenza 12 giugno 2019, n. 137, ha dichiarato incostituzionale l’art. 1, comma 2, della Legge regionale 19 giugno 2018, n. 27, che riconosceva alle direzioni sanitarie ospedaliere o territoriali, In particolari condizioni epidemiologiche o ambientali, la possibilità di prescrivere vaccinazioni normalmente non raccomandate per la generalità degli operatori, ha ritenuto di non sospendere in corso di causa il Regolamento impugnato, attuativo della citata Legge regionale.
La pronuncia, muovendo dal presupposto che, nella pratica sanitaria, i concetti di raccomandazione e prescrizione tendano a equivalersi, non ha sospeso l’efficacia dell’impugnato Regolamento regionale n. 10, richiamando gli obblighi di sorveglianza sanitaria del datore di lavoro di cui all’art. 41, D.lgs. n. 81/2008 e i correlativi obblighi dei lavoratori di contribuire alla tutela della salute della sicurezza suoi luoghi di lavoro (art. 20, D.Lgs. n. 81/2008).
Ciò non toglie che il provvedimento possa essere modificato dal Consiglio di Stato, in sede di appello cautelare, o dallo stesso T.A.R., a conclusione del giudizio tenuto conto dei profili che verosimilmente saranno dibattuti in corso di causa, analogamente a quanto avvenuto nei giudizi promossi dinanzi ad altri Tribunali Amministrativi Regionali, tutti definiti con pronunciamenti che hanno escluso il potere delle Regioni di imporre obblighi vaccinali.
Quanto, in particolare, alle vicende che riguardano la Regione Puglia, va dato atto che la Legge Regionale su cui si fonda il Regolamento impugnato (Legge Regionale Puglia 19 giugno 2018, n. 28), è stata in parte immune da vizi di legittimità costituzionale, avendo la Corte Costituzionale dato atto che il Legislatore regionale ha operato “senza introdurre obblighi vaccinali di nuovo conio e, comunque, senza imporre obbligatoriamente ciò che a livello nazionale è solo suggerito o raccomandato” (Corte Costituzionale, 06/06/2019, n. 137).
In altri e più chiari termini, la Legge Regionale, di cui il Regolamento costituisce attuazione, è legittima proprio perché non impone alcun obbligo vaccinale, trattandosi di competenza riservata al Legislatore statale: se questo principio è valido per la Legge Regionale n. 28/2018, non può non valere per il Regolamento Regionale n. 10/2020 che ne costituisce attuazione.
Vero è, come anticipato, che il principio della competenza statale in materia di obblighi vaccinali è stato a più riprese affermato dai Tribunali Amministrativi Regionali chiamati a pronunciarsi in fattispecie analoghe a quella scrutinata dal T.A.R. Puglia.
La questione posta è se possa o meno la Regione adottare provvedimenti che impongano la vaccinazione dei medici e del personale sanitario, prevedendo quale conseguenza del rifiuto, “l’inidoneità temporanea allo svolgimento della mansione lavorativa, ai sensi dell’art. 41, comma 6 del d.lgs. 81/2008, nell’ambito della sorveglianza sanitaria da parte del medico competente di cui all’art. 279 e correlata alla rivalutazione del rischio biologico a cura del datore di lavoro, ai sensi degli artt. 271 e ss. del decreto citato”.
Il T.A.R. Lazio, ad esempio, con sentenza del 5 ottobre 2020, n. 10081, ha annullato l’ordinanza in questione sul presupposto che le Regioni non abbiano competenza in materia di vaccinazione obbligatoria. Quanto innanzi, in linea con le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza del Giudice delle Leggi, tra le quali spicca la sentenza n. 5 del 2018, secondo cui la vaccinazione obbligatoria, in quanto trattamento sanitario da imporre ai singoli cittadini, rientra nella sfera di attribuzione del potere centrale.
Altro nodo non affrontato dalla pronuncia del T.A.R. Puglia è quello concernente il rapporto tra normativa speciale e alla legislazione emergenziale: è bensì vero che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del D.L. n. 19 del 2020 e l’art. 1, comma 16, del D.L. n. 33 del 2020, le Regioni sono autorizzate a introdurre misure più restrittive rispetto a quelle statali, ma tanto limitatamente agli ambiti e alle tematiche rientranti nella competenza costituzionale loro accordata dall’art. 117 Cost. L’art. 1, comma 2, dello stesso D.L. n. 19 del 2020 si riferisce a materie diverse dai trattamenti sanitari.
Ci riferiamo, in particolar modo, a quelle della limitazione alla circolazione persone, chiusura delle strade, interventi su eventi e manifestazioni culturali, sportive e religiose, trasporti, servizi scolastici e presenza negli uffici pubblici, regolazione di attività commerciali, imprenditoriali e professionali.
Restando al tema della ripartizione delle competenze, il Legislatore riconosce al Presidente della Giunta Regionale il potere di intervenire con ordinanze contingibili e urgenti, anche in materia di sanità pubblica, come conferma l’art. 32 della legge n. 833 del 1978, se e tale potere può essere esercitato quando l’emergenza riguardi il territorio della Regione e non anche nei casi in cui essa investa l’intero territorio nazionale. Per tale ultima evenienza si è ritenuta preminente l’esigenza di una regolamentazione uniforme, che riguardi l’intera popolazione.
Questo è quanto da ultimo affermato in una altrettanto recente pronuncia del T.A.R. del Lazio (16 ottobre 2020, n. 10600), nella quale è stato anche discusso il tema del confine tra obbligo e raccomandazione in ambito sanitario, giungendosi a conclusioni diverse da quelle del T.A.R. Puglia, essendo stato evidenziato che “la scelta tra obbligo o raccomandazione ai fini della somministrazione del vaccino costituisce in particolare il punto di equilibrio, in termini di bilanciamento tra valori parimenti tutelati dalla Costituzione (nonché sulla base dei dati e delle conoscenze scientifiche disponibili), tra autodeterminazione del singolo da un lato (rispetto della propria integrità psico-fisica) e tutela della salute (individuale e collettiva) dall’altro lato. Tali operazioni di bilanciamento vanno pertanto riservate allo Stato (cfr. altresì, su temi analoghi: Corte cost. n. 169 del 12 luglio 2017; n. 338 del 14 novembre 2003; n. 282 del 26 giugno 2002; n. 258 del 23 giugno 1994)”.
In estrema sintesi, considerati i nodi da sciogliere sulla tematica sottoposta al T.A.R. Puglia e la fase in cui il processo si trova, non è corretta l’affermazione che si legge nell’articolo di cui si chiede la rettifica, secondo cui “Il regolamento regionale 10 ha retto anche a un ricorso amministrativo presentato da alcuni Ordini degli infermieri”.
Redazione NurseTimes
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