Tumori, chemio più efficace grazie alle nanoparticelle magnetiche

Uno studio inglese ha dimostrato che possono indurre il riscaldamento delle cellule tumorali, rendendole più vulnerabili alla terapia tradizionale.

Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Materials Chemistry B dai ricercatori dello University College di Londra, il trattamento con nanoparticelle magnetiche capaci di riscaldare le cellule tumorali ha dimostrato di poter rendere più efficace del 34% la chemioterapia.

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Nello specifico, gli studiosi hanno valutato l’efficacia del trattamento con doxorubicina, un farmaco indicato per alcuni tipi di tumori, quando trasportato da nanoparticelle magnetiche che legano le cellule tumorali e che, se sottoposte a un campo elettromagnetico esterno, possono riscaldarsi, raggiungendo la temperatura di circa 40 °C. Questa applicazione, finora testata in vitro, ha mostrato che alcune neoplasie sono risultate più vulnerabili al farmaco chemioterapico.

Questo il commento dei ricercatori, che hanno utilizzato linee cellulari derivate da modelli murini appositamente ingegnerizzati per esprimere diversi tipi di tumore (al seno, al cervello e alla prostata): “Dopo 48 ore, il calore e la doxorubicina hanno eliminato il 98% delle cellule di cancro al cervello: il solo farmaco somministrato senza calore si era invece fermato al 73%. Per il cancro al seno si va dall’89 al 77%”.

“Il nostro studio – ha dichiarato Nguyen Thi Kim Thann, docente di Nanomateriali all’University College di Londra e autrice senior della ricerca – mostra l’enorme potenziale di questa tecnica, che combina la chemioterapia con il trattamento termico fornito tramite nanoparticelle magnetiche. Sebbene tale combinazione sia già approvata per il trattamento dei glioblastomi a crescita rapida, i nostri risultati suggeriscono che esiste il potenziale per utilizzarla come terapia anti-cancro più ampia, indicando la possibilità che possa ridurre anche gli effetti collaterali della chemioterapia, in quanto permette di mirare maggiormente alle cellule tumorali rispetto a quelle sane. Questo aspetto, tuttavia, deve essere esplorato in ulteriori test preclinici”.

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