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Scompenso cardiaco acuto, come trattarlo?

Ne parliamo attraverso un approfondimento a cura di Cardiologia Oggi.

Definizione di scompenso cardiaco (o insufficienza cardiaca IC) – E’ una sindrome in cui il cuore risulta incapace di pompare una quantità di sangue adeguata alle necessità dell’organismo. Questa condizione può derivare da anomalie della funzione sistolica o diastolica o, comunemente, da entrambe. Nella fase  acuta si può presentare ex novo in pazienti senza patologie cardiache, oppure come aggravamento improvviso di una cardiopatia già nota.

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E’ una condizione molto diffusa nella popolazione generale: risulta, infatti, la causa più frequente di ricovero ospedaliero e negli over 65, con numeri destinati ad aumentare nei prossimi anni.Inoltre i  dati europei mostrano che la metà dei ricoverati, vengono reospedalizzati entro un anno e un terzo muore entro un anno dal primo ricovero.

Trattamento – Una percentuale significativa (10-20%) dei pazienti con IC acuta si presenta con segni di ipoperfusione periferica , associate a congestione e accumulo  di fluidi. In questi pazienti il trattamento della bassa portata cardiaca richiede l’utilizzo di farmaci che agiscano supportando la contrattilità miocardica, ovvero i farmaci inotropi. Somministrati per via endovenosa,  sono indicati quando i pazienti con insufficienza cardiaca  acuta mostrano segni o sintomi di disfunzione d’organo a causa dell’ipoperfusione.

Significatio di “farmaco inotropo” – Con “farmaci inotropi” si definiscono le terapie che migliorano le prestazioni della contrattilità miocardica indipendentemente dai cambiamenti nella frequenza cardiaca e dalle condizioni di carico. Molti farmaci inotropi inoltre, possono avere più di un effetto sul sistema cardiovascolare; aumentare la frequenza cardiaca, o dilatare le arterie in maniera vasodilatatorie dirette o indirette. Sono orami di utilizzo quotidiano nelle terapie intensive allo scopo di  supportare la contrattilità cardiaca in caso di insufficienza cardiaca scompensata, per la stabilizzazione emodinamica in caso di shock, come un ponte per terapia sostitutiva cardiaca.

Gli agenti inotropi tradizionali (amine simpaticomimetiche, inibitori delle fosfodiesterasi) hanno infatti dimostrato di migliorare  soprattutto i sintomi dello scompenso acuto, come descritto in numerose analisi retrospettive e metanalisi. Tuttavia il loro utilizzo non è privo di effetti collaterali quali   aritmie, d’ischemia miocardica e in alcuni casi di ipotensione arteriosa, come descritto nel registro ADHERE (Acuta Decompensate Heart Failure National Registry), in si è documentato un aumento della mortalità in ospedale, associato all’uso di inotropi a breve termine. Non è chiaro quanto questo sia causa/conseguenza del farmaco o piuttosto della condizione clinica di base.

D’altra parte ci sono tantissime situazioni cliniche quotidiane in cui il supporto inotropo (con dopamina, dobutamina, milrinone o noradrenalina) risulti una misura salvavita, come nello  shock cardiogeno acuto, dove l’ipoperfusione degli organi vitali è evidente e la necessità di migliorare la perfusione richiede una terapia immediata. Di seguito parleremo brevemente dei differenti farmaci inotropi convenzionali che vengono utilizzati nella pratica clinica quotidiana, e a seguire delle prospettive future di trattamento.

Dopamina – E’ un neurotrasmettitore prodotto dall’organismo, precursore della noradrenalina. Noti  gli effetti clinici, è stato il primo farmaco a essere utilizzato per via endovenosa per il trattamento di shock cardiogeno. Si lega a diversi tipi di recettori (specifici i dopaminergici e non, recettori beta), distribuiti in vari organi e tessuti. Il suo effetto è estremamente variabile  in base alla dose e perché  mediato da diversi tipi di recettori. A basso dosaggio (≤3 /kg/min) agisce sui recettori specifici (dopaminergici) e causa dilatazione delle arterie renali, splancniche e cerebrali, aumentando il flusso ematico renale e favorendo la diuresi.

Il miglioramento della diuresi, sebbene confermato anche da studi più recenti (incremento del 24% della diuresi nelle prime 24h senza in un camione di oltre 3mila pz con insufficienza renale), non è corri sposto a un miglioramento della mortalità, ma ha registrato una tendenza a un aumento degli eventi avversi. Somministrata a dosaggi intermedi (da 2 a 5 /kg/min), agisce sul cuore attraverso i recettori  adrenergici (β1), aumentandone la forza contrattile. Attualmente non ci sono dimostrazioni né a favore della sua utilità clinica né in termini di sopravvivenza a medio-lungo termine.

Dobutamina – Introdotta alla fine del Novecento, è farmaco di sintesi somministrato per via endovenosa. Si lega a recettori adrenergici (adrenergici β1 e β2) direttamente a   livello cardiaco,  comportando un aumento della forza di contrazione e della pressione sanguigna, con il un vantaggio rispetto dopamina, di non aumentare la formazione di noradrenalina  né la vasocostrizione delle arterie periferiche. Tuttavia l’azione diretta sui recettori cardiaci può determinare aritmie (aumento della frequenza e/o irregolarità del ritmo cardiaco).

Inibitori della fosfodiesterasi (Milrinone, Enoximone) – Questi due farmaci sono di più recente introduzione nel trattamento dello shock cardiogeno. Agiscono con un meccanismo diverso: all’interno delle cellule muscolari, aumentano la concentrazione di un “messaggero” che attiva la contrazione muscolare, inibendone la degradazione. L’effetto finale è quindi aumentare la contrattilità cardiaca e dilatare le arterie periferiche e polmonari.

Hanno il vantaggio che, essendo il loro meccanismo d’azione indipendente recettore beta-adrenergico, conservano tutta la loro attività anche in presenza di terapia betabloccante. Sebbene si sia osservato un aumento nella mortalità nei pazienti trattati a lungo termine, l’utilizzo di questa classe di farmaci, risulta vantaggioso nella fase acuta, in particolare per i pazienti che hanno una funzione renale conservata e/o che presentano ipertensione polmonare, oppure in pazienti sotto terapia con un agente B-boccante.

Levoisimendan – Questo farmaco agisce attraverso due principali meccanismi: favorisce il legame tra lo ione Calcio (necessario per il meccanismo di contrazione) e le proteine contrattili, con effetto inotropo ,  dall’altro su canali ionici responsabile dell’effetto vasodilatatore periferico. Rispetto agli altri inotropi, esso migliora la contrattilità miocardica senza aumentare la richiesta di ossigeno e induce dilatazione delle arterie sia periferiche che coronariche. Sebbene negli studi recenti l’uso del Levosimendan non abbia  ridotto in modo significativo la mortalità, ha dimostarto miglioramento emodinamico maggiore rispetto alla Dobutamina.

Noradrenalina – Prodotto dal nostro organizmo, è un trasmettitore che agisce su alcuni recettori adrenergici, in grado pertanto di migliorare l’inotropismo e portare una costrizione delle arterie periferica. Nonostante vi sia una grande esperienza con il farmaco da molti anni, come con tutte le catecolamine, l’uso può essere associata ad alterazioni del ritmo e ischemia miocardica, in virtù del suo meccanismo d’azione. Ad oggi la Noradrenalina viene utilizzata maggiormente per migliorare la vasocostrizione periferica in caso di shock distributivo.

Prospettive future – Da quanto descritto i limiti dei farmaci convenzionali sembrano in parte  correlate al meccanismo d’azione ( azione beta adrenegica, vasodilatazione perferica ). La concomitante vasodilatazione periferica, come nel caso del levosimendan, è un altro importante limite, soprattutto quando i pazienti sono ipotesi o trattati con farmaci che abbassano la pressione .

Nuovi farmaci, senza effetto simil-catecolaminico sono in fase di sviluppo, ampliando cosi le possibilità terapeutiche in pazienti con insufficienza cardiaca, senza aumentare necessariamente il consumo di ossigeno del miocardio. Gli attivatori della miosina, l’istaroxime, gli attivatori dell’ATPasi del reticolo sarcoplasmatico sembrano farmaci  promettenti, dal momento che agiscono tramite meccanismi completamente diversi rispetto agli inotropi tradizionali e, in molti casi, non sono associati a tachicardia o ipotensione.

Istaroxime – Si tratta di un farmaco non  correlato con i glicosidi cardioattivi, ma con meccanismo analogo: agiuscono sui canali ionici dellle cellule cardiache con effetto di ridurre la pressione capillare polmonare e la frequenza cardiaca e aumentare la gittata cardiaca e senza variazioni sulla pressione arteriosa sistolica.

Attivatori della miosina – Sono una nuova classe di farmaci, caratterizzata dalla capacità di aumentare l’attività di un enzima intracellulare, che determina un allungamento della durata del tempo di eiezione e riduce la frequenza cardiaca.

Attivatori della SERCA – L’enzima responsabile della ricaptazione del calcio intracellulare è una delle maggiori aree di ricerca di nuovi farmaci per il trattamento dell’IC. Uno di questi è il MYDICAR, un vettore virale associato ad un adenovirus somministrabile per via intracoronarica. Tuttavia ulteriori studi sono necessari al riguardo.

Redazione Nurse Times

Fonte: Cardiologia Oggi

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