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San Giovanni Rotondo (Foggia), paziente operata a cuore fermo per rimuovere carcinoma renale “infiltrato”

L’intervento è stato eseguito nella sala operatoria ibrida dell’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza da uno staff di cinque chirurghi. Il tumore aveva raggiunto il cuore attraverso la vena cava inferiore.

“Alla grande, è andato tutto alla grande”. Sono le prime parole che i famigliari di una paziente ricordano di aver sentito dai chirurghi dell’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo (Foggia), appena usciti dalla sala operatoria ibrida, dopo ore di intervento. A raccontare l’episodio, durante la visita di controllo in Urologia di pochi giorni fa, è stata Anna, un’insegnante in pensione di 79 anni residente a San Severo, sottoposta a settembre scorso a un delicatissimo intervento chirurgico per la rimozione di un carcinoma renale che si era infiltrato fino al cuore attraverso la vena cava inferiore.

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L’intervento, data la sua complessità, è stato eseguito nella sala operatoria ibrida da uno staff composto da cinque chirurghi dell’Unità di Urologia, cardiochirurgia, chirurgia addominale e chirurgia vascolare che si sono avvicendati nelle varie fasi, assistiti dai medici della cardioanestesia e da tutto il personale di sala operatoria. I chirurghi, dopo aver preparato il campo addominale, isolato i vasi renali e il tumore al rene, hanno provveduto a isolare la vena cava inferiore che va verso il cuore e al clampaggio del peduncolo epatico. Successivamente sono intervenuti i cardiochirurghi, che attraverso la sternotomia hanno attivato la circolazione extracorporea, in grado di sostituire il cuore e i polmoni, pompando sangue ossigenato nel sistema arterioso.

A cuore fermo sono riusciti ad aprire l’atrio destro per asportare completamente e contemporaneamente la massa tumorale dalle cavità cardiache e dalla vena cava inferiore. Contestualmente è stato asportato totalmente anche il rene interessato dalla neoplasia che si era infiltrata, sotto forma di una colonna solida, fino alla cavità destra del cuore attraverso la vena cava inferiore. Il trombo si sviluppava per tutta la lunghezza della vena cava inferiore, stimata in circa 17-18 cm.

“Abbiamo visitato la donna, effettuato tutti gli accertamenti necessari e abbiamo deciso di accettare fiduciosi un caso che in molti avrebbe rifiutato – ha spiegato Antonio Cisternino, direttore dell’Unità di Urologia dell’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza –. Nei giorni precedenti abbiamo analizzato passo passo l’intervento con tutti i colleghi. Contemporaneamente abbiamo incontrato più volte la donna e suoi familiari poiché era necessario condividere con loro i rischi, seppur calcolati, e ottenere il consenso informato di una procedura chirurgica molto complessa. Interventi di questo tipo si possono realizzare solo in centri ad alta specializzazione dotati di tecnologia avanzata e di chirurghi con una lunga esperienza di sala operatoria, abituati ad un approccio multidisciplinare e che si fidino l’uno dell’altro, in grado di prevedere rischi e possibilità di ogni singola massa”.

I primi sintomi accusati dalla donna, l’estate scorsa, sono stati una pressione un po’ ballerina e soprattutto l’affanno. “Ho commesso un piccolo errore – ha ammesso Anna –, trascurando per più di due anni i controlli periodici ai quali mi sottoponevo, dopo aver già rimosso un tumore 22 anni fa. Poi l’estate scorsa i primi sintomi mi hanno portato a richiedere un approfondimento, durante il quale è subito emersa la presenza di un embolo di dimensioni importanti nel cuore. Da lì è partito il tutto, ed oggi mi trovo qui a raccontare la mia storia. E mi ritengo fortunata”.

Sempre Anna: “No, non ho avuto paura. In queste circostanze devi affidarti e collaborare. Mi hanno informata e hanno condiviso con me le difficoltà dell’intervento. Erano preoccupati, io l’ho intuito, altrimenti non mi avrebbero operata in cinque. Ma erano fiduciosi, e il loro ottimismo mi ha rassicurato. Mi sto riprendendo piano piano, c’è voluto un po’ di tempo ma devo dire che sto proprio bene, anche se ho un rene in meno. Il peggio è alle spalle. Ringrazio davvero tutti, spero di non dimenticare nessuno, devo tutto a loro: i cardiochirurgi Mauro Cassese e Albino Vallabini, l’urologo Antonio Cisternino, il chirurgo vascolare Vincenzo Palazzo, il chirurgo addominale Matteo Scaramuzzi, il cardioanestesista Francesco Distaso, assieme a tutto il personale di sala operatoria e di reparto. Grazie a tutti”.

Da buona insegnante, alla fine, Anna ha tirato le conclusioni: “Cosa ho imparato da questa esperienza? Che non bisogna trascurarsi, e che non bisogna trascurare i segnali che ci arrivano dal nostro corpo. E ad informarsi e ad affidarsi, anche quello conta molto”.

Redazione Nurse Times

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