Sul demansionamento arriva un’altra sentenza della Corte di Cassazione, a favore della professione infermieristica. La vicenda è quella di un infermiere abruzzese, dipendente della Azienda sanitaria 2 di Abruzzo (Lanciano-Vasto-Chieti) “costretto a lavorare per anni senza l’ausilio e il supporto di personale con la qualifica di Operatore Socio-Sanitario”, come si legge sul sito ufficiale dell’Unione sindacale di base, che ha seguito la vertenza del suo iscritto.
Per arrivare alla condanna definitiva, con la sentenza della Corte di Cassazione n.00359/22 del 10 gennaio scorso, ci sono voluti anni di udienze in tribunale con quelle (sempre di condanna) emesse prima dal Tribunale di Chieti nel 2017 e poi dalla Corte d’Appello di L’Aquila nel 2019.
Una vertenza, si legge sul situo della Usb nazionale, che ha dimostrato “come una intera categoria professionale, quella degli infermieri, sia stata costretta a lavorare in condizioni inaccettabili, dequalificati e demansionati di fatto, costringendoli ad assolvere compiti che non rientrano nelle loro mansioni”.
Questione che, nel caso specifico, riguarda la sanità abruzzese ma che, come spesso ci viene raccontato e denunciamo, si verifica su tutto il territorio nazionale. Nonostante l’emergenza sanitaria in corso le aziende sanitarie, con la collaborazione di dirigenti infermieristici compiacenti continuano a demansionare gli infermieri.
Ancora una volta i giudici ribadiscono come “le attività di igiene diretta sui pazienti, di pulizia dei lettini e delle barelle, dei pavimenti delle sale e di detersivo e manuale degli strumenti comuni di sala non appartengano ed anzi siano totalmente estranee al Profilo Professionale dell’infermiere”.
“La sentenza della Corte di Cassazione rende giustizia alle tante e ingiustificabili angherie di cui è vittima tutto il personale sanitario del nostro paese” commentando dall’Unione sindacale di base.
Redazione Nurse Times
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