La tesi AADI sul pagamento della tassa all’ordine (OPI) a carico dell’azienda era giusta

In Allegato la Sentenza di Pordenone e l'interpello dell'aadi

Come più volte scritto in alcuni articoli a firma AADI, oltreché detto in molti convegni infermieristici, la tassa per l’iscrizione all’ordine OPI deve essere assolta dal datore di lavoro e non dall’infermiere dipendente di struttura pubblica o privata convenzionata con il SSN

Affrontammo già l’argomento in diverse occasioni, anche se, il problema appariva sempre di natura penalistica per le denunce che l’ordine faceva nei confronti dei poveri malcapitati infermieri.

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A seguito però delle molteplici sentenze di non luogo a procedere emesse dai Tribunali Penali, poiché non era ravvisabile nessun reato di natura penale in violazione dell’art. 348 c.p. (abuso della professione infermieristica) a carico degli infermieri dipendenti delle aziende ospedaliere, gli ordini su suggerimento della FNOPI, hanno modificato la propria strategia offensiva per tentare di ottenere il pagamento della quota.

La strategia adottata è divenuta quindi quella di trasferire direttamente al datore di lavoro l’incombenza di contestare la mancata oblazione della tassa a quel personale risultante non in regola.

Le aziende, dal canto loro, sollecitate dagli ordini provinciali hanno, attraverso controlli interni, intimato nell’immediato a tutti gli infermieri non in regola di ottemperare nel più breve tempo possibile, pena, il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

La scelta strategica adottata ha avuto da subito i propri effetti e molti infermieri messi alle strette sono stati costretti a regolarizzare la loro posizione debitoria con l’ordine onde evitare contenziosi con il proprio datore di lavoro.

Non tutti però si sono lasciati intimidire ed anzi, molti hanno preferito ricorrere al tribunale in veste di giudice del lavoro per contestare tale tesi.

Sono oramai molteplici le sentenze che hanno dato ragione all’AADI e successivamente ad altri ricorrenti, l’ultima in ordine di tempo è quella del tribunale di Pordenone che con la sentenza n. 116 del 6 settembre 2019 ha ribadito l’assoluta genuinità dell’ipotesi da noi formulata alcuni anni fa, ma analizziamo la sentenza.

I ricorrenti, tutti dipendenti della AAS n. 5 Friuli Occidentale hanno chiesto al tribunale di Pordenone di dichiarare ed accertare la sussistenza dell’obbligo di iscrizione all’albo professionale ex IPASVI (il ricorso è del 2017) oggi divenuto OPI ed inoltre di accertare e dichiarare che in caso di obbligo all’iscrizione, di addebitare il costo direttamente al datore di lavoro.

La parte resistente, ossia la ASS Friuli, respinge le doglianze del ricorrente chiedendo al tribunale di dichiarare infondata la pretesa.

Il tribunale accogliendo la domanda dei ricorrenti fa le seguenti deduzioni in fatto e in diritto:

  1. l’art. 2, co. 2 della L. n. 43/2006 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie e infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico sanitarie e della prevenzione” non lascia spazio a dubbi con lo stabilire che “l’iscrizione all’albo professionale è obbligatoria anche per i pubblici dipendenti ed è subordinata al conseguimento del titolo universitario abilitante di cui al comma 1, salvaguardando comunque il valore abilitante dei titoli già riconosciuti come tali alla data di entrata in vigore della presente legge” anche se la normativa per lungo tempo non ha trovato piena attuazione in assenza dei decreti legislativi pur previsti al fine di istituire per le professioni sanitarie contemplate, e quindi anche per gli infermieri, i relativi ordini professionali;
  2. La Suprema Corte, sulla scorta anche del parere del Consiglio di Stato 15/3/2011 nell’affare n° 678/2010, ha statuito con sentenza n° 7776/2015 – riferita nello specifico al pagamento della tassa annuale d’iscrizione all’Elenco Speciale annesso all’Albo degli Avvocati per l’esercizio della professione forense nell’interesse esclusivo dell’Ente datore di lavoro – che “quando sussista il vincolo di esclusività, l’iscrizione all’albo è funzionale allo svolgimento di un’attività professionale svolta nell’ambito di una prestazione di lavoro dipendente, pertanto la relativa tassa rientra tra i costi per lo svolgimento di detta attività che dovrebbero, in via normale, al di fuori dei casi in cui è permesso svolgere altre attività lavorative, gravare sull’ente che beneficia in via esclusiva dei risultati di detta attività”:
  3. ad avviso quindi del tribunale di Pordenone, contrariamente a quanto sostenuto dalla convenuta Azienda, l’infermiere dipendente di azienda pubblica riveste una posizione del tutto analoga a quella dell’avvocato al servizio di ente pubblico, in quanto tenuto a prestare la propria attività lavorativa alle dipendenze della p.a. con obbligo di esclusività nei confronti di quest’ultima non potendo esercitare in altri contesti libero professionali. Nel caso di cui trattasi non è in contestazione il fatto che gli odierni ricorrenti svolgono tutti attività professionale infermieristica a tempo pieno in regime di esclusività per l’azienda convenuta. in altri termini;
  4. Non vi è per altro, motivo, di ritenere una qualche supremazia della professione forense rispetto alle altre che legittimi una diversità di trattamento. Così come per gli avvocati, che svolgono funzioni riconducibili a principi costituzionali, anche gli infermieri dipendenti del S.S.N. svolgono una funzione posta a presidio di un diritto di rango costituzionale primario quale il diritto alla salute. Di cui all’art. 32 Cost.. Peraltro, anche l’asserito principio di indipendenza dell’avvocato non ha nulla a che vedere con la questione oggetto dell’odierna disamina, poichè trattasi di riservare agli infermieri dipendenti le stesse prerogative riconosciute agli avvocati dipendenti, i quali ultimi non sono liberi ed autonomi nell’esercizio dell’attività professionale a favore dell’ente pubblico ma al contrario, sono vincolati a difendere le posizioni del medesimo senza potersi in qualche modo sottrarre. Non a caso la loro iscrizione in un “elenco speciale” deriva dal fatto che l’Albo degli Avvocati è costituito per la stragrande maggioranza da libero-professionisti esercitanti la loro attività in autonomia, libertà ed indipendenza come contemplato dalla legge forense;
  5. Nella richiamata sentenza della Suprema Corte poi, viene fato riferimento al contratto di mandato (che per altro verso lega l’avvocato all’ente) ma per affermare un principio generale valido per tutti i professionisti dipendenti e non certo solo per i legali, che è il seguente: “nel lavoro dipendente si riscontra l’assunzione, analoga a quella che sussiste nel mandato, a compiere un’attività per conto e nell’interesse altrui, pertanto la soluzione adottata risponde ad un principio generale ravvisabile anche nell’esecuzione del contratto di mandato, ai sensi dell’art. 1719 cc., secondo cui il mandante è obbligato a tenere indenne il mandatario da ogni diminuzione patrimoniale che questi abbia subito in conseguenza dell’incarico, fornendogli i mezzi patrimoniali necessari”. Orbene, quindi, anche l’infermiere svolge la propria opera professionale per incarico dell’Azienda Sanitaria la quale, pertanto è obbligata a tenerlo indenne da ogni spesa necessaria all’espletamento dell’incarico professionale assunto come dipendente in base al principio generale di cui all’art. 1719 cc;
  6. Sicchè ogni qualvolta venga esercitata da quest’ultima attività professionale in regime di esclusività, va riconosciuto in via generale il dovere giuridico del soggetto datoriale di rimborsare al lavoratore i costi per l’esercizio dell’attività, fra cui quello dell’iscrizione all’albo;
  7. A nulla rileva infine l’assunto della convenuta Azienda secondo cui con l’entrata in vigore della legge 11/1/2018 n° 3 – istituente gli ORDINI delle professioni sanitarie, fra cui quella infermieristica – si sarebbe innovata la materia essendo ivi previsto che gli Ordini siano “finanziati esclusivamente con il contributo degli iscritti, senza oneri per la finanza pubblica“.

Il tema infatti non ha a che fare con la questione sottoposta al vaglio dell’adito Tribunale, atteso che – muovendo dal presupposto che l’azienda sanitaria è un ente dotato di personalità giuridica pubblica e di autonomia imprenditoriale che opera nel quadro del servizio sanitario nazionale – con il presente contenzioso non viene richiesto di attribuire ai dipendenti un trattamento economico e men che meno un contributo, una sovvenzione o un ausilio finanziario, bensì il rimborso di un costo sostenuto dal lavoratore a tempo pieno in regime di esclusività per l’esercizio dell’attività professionale a favore dell’ente datoriale.

Per tali motivi il tribunale di Pordenone accoglie il ricorso dei lavoratori e condanna l’azienda resistente ad ottemperare al pagamento in luogo dei ricorrenti della tassa ex IPASVI, oggi OPI.

Una decisione a nostro avviso, del tutto orientata e condivisibile alla quale si potrebbe facilmente ovviare garantendo anche al personale infermieristico come a quello della Dirigenza medica, la possibilità di poter fare la libera professione in circostanza di dipendenza presso la P.A., così facendo, le aziende eviterebbero di pagare una tassa decisamente impegnativa per il loro bilancio, considerando anche il numero cospicuo di professionisti sanitari (infermieri, ostetriche, tecnici) che lavorano in aziende di grandi dimensioni.

Dott. Carlo Pisaniello

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