La terapia al bisogno: gestione e responsabilità

La terapia al bisogno racchiude in sè aspetti gestionali e legali imprescindibili per l’infermiere

La terapia al bisogno sembrerebbe aprire nuovi scenari circa la possibilità di somministrazione in autonomia per l’infermiere. Ma il discorso è complesso. In questo “mondo misterioso”, tra il prescrittore (medico) ed il somministratore (infermiere) aleggia una particolarità diagnostica che appare non poter appartenere a nessuno: il primo non l’ha fatta, il secondo ne è costretto.

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Il percorso che ha i “sintomi” di una autonomia professionale, è ricco di insidie, cliniche, gestionali e legali. L’eventualità di addentrarsi nell’abuso di professione medica riguardo la diagnosi terapeutica è vicina. La prescrizione è ferma e virtuale, in quanto ancora non si sono verificate delle condizioni che innescano il meccanismo. La somministrazione quindi, assume quasi un valore latente.

La diagnosi come primum movens non può essere ancora formulata ma prevista, con un occhio al futuro.

Come si deve comportare l’infermiere davanti alla terapia al bisogno? Qual è il modo giusto di gestire la prescrizione “non immediata” e “dormiente” fatta dal medico? L’infermiere si sostituisce al medico, come avviene per i Patient Group Directions nel Regno Unito?

Introduzione

La terapia al bisogno è un metodo di prescrizione controverso molto diffuso sia in ambiente ospedaliero che in qualsiasi ambito di degenza pubblica e privata. Questa metodica usata per motivazioni di gestione di risorse e del personale e/o cliniche, viene anche spesso predisposta per studi clinici di miglioramento degli esiti della qualità delle cure.

Coinvolgendo gli infermieri nel processo decisionale e nella cura, contribuisce a velocizzare una pratica che altrimenti richiederebbe di continuo, ed a qualsiasi ora, la presenza di un medico per prescrivere (ad es. nelle situazioni acute, RSA, domicilio del paziente).

Tuttavia da sempre è parso essere un concetto velatamente nebuloso, che si presta facilmente a interpretazioni deleterie per le figure coinvolte. Infatti l’infermiere si trova tra due fuochi, tra il medico che ha scritto quelle parole e la variazione dello stato di salute del paziente. Entrambi sembrano quasi avere il famoso coltello dalla parte del manico, mentre sul professionista pende una spada di Damocle incerta, da non sottovalutare.

Segni, sintomi, indici, paramentri potrebbero essere fuorvianti, conducendolo ad una libera interpretazione, oscillando quindi tra oggettività e soggettività. Tutto ciò sembrerebbe chiamare l’infermiere a riconoscere e comprendere in modo professionale la giusta occasione. Egli è chiamato a capire se il momento della prescrizione è arrivato, è chiamato ad un ruolo scomodo di “diagnosticatore”.

Cosa è la terapia al bisogno

La terapia al bisogno, definita nei Paesi anglosassoni come PRN/ prn (Pro Re Nata = “nelle circostanze” o “come la circostanza si pone”) o As Needed, ha le caratteristiche di una terapia una tantum, cioè straordinaria, non periodica e non programmata, aggiuntiva al regolare programma terapeutico che segue il malato.

L’infermiere è tenuto a somministrare ciò che il medico ha prescritto in epoca antecedente al segno clinico/sintomo, in una prospettiva di probabilità di accadimento. Quando dunque la probabilità si trasforma in certezza, allora la terapia con indicato accanto “a.b.”, “al bisogno” o “all’occorrenza” fatta dal prescrittore (medico), potrà essere somministrata dall’infermiere.

Si intende quindi, che la terapia al bisogno è legata alle variazioni dello stato clinico del paziente, o cambiamenti avvertiti dallo stesso, basti pensare ad una richiesta da parte sua di alleviare una sintomatologia dolorosa. L’evidenza dello stato clinico che, in un modo o nell’altro subisce una evoluzione, è importante per comprendere la peculiarità della terapia al bisogno, la quale se così non fosse dovrebbe essere “racchiusa” in quella regolarmente seguita dal paziente.

I farmaci al bisogno appartengono alle più svariate categorie. Anche se non esaustivamente se ne riportano alcune:

  • analgesici;
  • antiasmatici;
  • antipiretici;
  • antispastici;
  • lassativi;
  • analettici;
  • antiemetici;
  • antipertensivi;
  • ansiolitici;
  • psicotropi;
  • insulina.

La sequenza della terapia al bisogno

La sequenza della terapia al bisogno appare lineare ma porta con sé insidie e trappole per tutti gli attori. Nascoste tra le righe della linea temporale ci sono aspetti da districare per non dover incappare in problematiche più serie.

Ma che cosa potrebbe succedere lungo questa strada che ha inizio con l’atto medico e termina con l’atto infermieristico? A cosa prestare attenzione? Eppure sembrerebbe così logica:

  1. il medico prescrive la terapia al bisogno;
  2. l’infermiere valuta che il momento del bisogno è arrivato, o il paziente ne manifesta la necessità;
  3. l’infermiere somministra quanto prescritto;
  4. il sintomo e/o segno clinico viene risolto in modo ottimale.

Cosa è racchiuso nel significato “al bisogno”? Come fa l’infermiere a valutare il bisogno? E se si sbagliasse? Come fare ad interpretare al meglio il medico? Se la sintomatologia o i segni clinici non si alleviano, e peggiorano? Cosa fare?

Aspetti gestionali della terapia al bisogno

E’ importante che il tutto sia improntato alla massima chiarezza per potere abbassare quanto più possibile la probabilità di errori. Non basta per il medico riportare soltanto il nome del farmaco che va a braccetto con “a.b.” o “al bisogno”: entrambe le diciture necessitano di altre indicazioni vitali. Così come l’infermiere dovrebbe dar seguito ad un iter corretto innescato al momento dell’instaurarsi del segno/sintomo.

Quando il medico prescrive

Il medico non potendo ancora formulare diagnosi, in quanto manca il segno clinico, è chiamato a manifestare di già la possibilità di una “etichetta” o “target”. Deve unire una probabilità di esame obiettivo e diagnosi, come percorso di azioni da far compiere all’infermiere. Dovrebbe perciò indicare ed attenzionare diversi aspetti:

  • il nome del farmaco;
  • l’occasione diagnostica per cui somministrare il farmaco, segni/sintomi/parametri indicativi espliciti e necessariamente presenti (compresi eventuali intervalli, ad es. P.A. da 150 a 200 mmHg);
  • esatto dosaggio singolo o l’intervallo posologico (es. 1 o 1-2 cp, da 1 a 2 cp in base al dolore);
  • lo scopo della somministrazione (es. per alleviare il dolore);
  • come prendere il farmaco (es. compresse da deglutire intere, da assumere a stomaco pieno);
  • massimo dosaggio giornaliero (nelle 24 ore) da non superare (es. non più di 8 cp. in 24 ore) ;
  • la via di somministrazione (es. da prendere per via orale, e.v., i.m., ecc.);
  • l’eventuale intervallo di tempo/frequenza fra le somministrazioni (es. ogni 4 ore fino alla scomparsa dei sintomi), definendo anche un intervallo minimo e massimo tra le dosi;
  • altri farmaci che contengono lo stesso principio attivo che potrebbero causare sovradosaggio, od anche di quelli inseriti nella terapia programmata (es. automedicazione e/o rimedi casalinghi);
  • la data della prescrizione (come inizio) e la data dell’eventuale revisione in cui verrà rimodulata la terapia al bisogno in base al nuovo assetto clinico;
  • gli esiti dell’intero processo “straordinario”.

Quando l’infermiere somministra farmaci “al bisogno”

L’infermiere deve innanzitutto avere l’abilità professionale di saper riconoscere e legare la volontà del medico al motivo della somministrazione, per attivare una giusta azione terapeutica. Dovrà documentare il processo:

  • le motivazioni dettagliate per cui il paziente ha chiesto il farmaco o la necessità osservata (segni, parametri, sintomi presenti in quel momento);
  • l’ora e la data della somministrazione (utile per l’intervallo minimo tra le dosi e la dose massima nelle 24 ore);
  • la quantità somministrata, soprattutto se la dose variava (es. da 1 a 2 cp);
  • la risposta “organica” del paziente (ha avuto successo? Il problema è stato risolto?). Si scriverà ad es. “Il paziente riferisce non avere più dolore”;
  • il monitoraggio della situazione, in quanto occorre valutare e scrivere cosa si osserva nel lasso di tempo che intercorre tra la somministrazione e l’esito;
  • se la richiesta da parte del paziente o la necessità in base alle condizioni sta rendendo necessario un incremento dell’uso del farmaco (più somministrazioni) occorre avvisare immediatamente il medico: la condizione clinica è mutata. Viceversa potrebbe richiedersi intervento medico per una modifica che diminuisca o elimini il farmaco dalla terapia al bisogno, in quanto non più utile.

La mancata interruzione della terapia al bisogno, inoltre, omettendo di cancellare quanto prescritto e di farlo chiaramente, espone a rischi di sovradosaggio il paziente, in quanto verrà somministrato in dosi eccessive lo stesso farmaco, non garantendo il target clinicamente sperato.

La conservazione dei farmaci “al bisogno”

Poiché l’uso dei farmaci al bisogno può avvenire al di fuori del regolare ciclo terapeutico, è buona norma (e dove possibile) conservarli in un luogo diverso da quello abitualmente in uso (es. il carrello principale di reparto), in modo da non confondere la prescrizione al bisogno con la terapia programmata. Dopo la sospensione del farmaco, l’infermiere dovrà attuare un’attento monitoraggio per captare l’eventuale ritorno dei sintomi, il peggiormento del quadro clinico, allergie ed eventi avversi.

Le reazioni allergiche

Le eventuali reazioni allergiche devono poter essere attentamente osservate, registrate e condivise con i medici. Ancora molti di questi dati vanno persi, con un’assurdo convincimento che la traccia di un farmaco non appartenente alla moltitudine delle sostanze “predominanti” sia di poco conto, e quindi avente un aspetto casuale ed improvvisato.

Gli eventi avversi

Principalmente gli eventi avversi riguardano errori terapeutici associati alla prescrizione e alla somministrazione, sia in eccesso che in difetto: degrado neurologico, sedazione eccessiva, nausea, vomito, prurito, analgesia insufficiente, e / o insufficienza respiratoria, effetti avversi del paracetamolo. In secondo piano sono stati monitorati gli effetti collaterali dei medicinali, come il sanguinamento gastrointestinale.

Aspetti di responsabilità professionale

Nel momento clou del bisogno il medico è assente e l’infermiere dovrebbe sostituirsi a lui trasformandosi in garante della diagnosi. Gli aspetti controversi risiedono infatti nella mancanza di una diagnosi antecedente alla prescrizione (e quindi al sintomo), e nella possibilità dell’infermiere di essere in grado di riconoscere e “tradurre” la volontà del prescrittore.

La terapia al bisogno in Italia non è mai stata regolata da una vera e propria legislazione, pur essendo accorpata ed inclusa genericamente nel tema degli “errori da terapia”.

La raccomandazione n°7 del 2008 da parte del Ministero della Salute (par. 4.3, lettera n), riguardo agli errori di prescrizione, indica che occorre evitare nelle prescrizioni la frase “al bisogno”, ma, qualora riportata, deve essere specificata la posologia, la dose massima giornaliera e l’eventuale intervallo di tempo fra le somministrazioni.

Il medico e l’infermiere ormai legati da un rapporto di responsabilità professionale (penale, civile, amministrativa), riguardo ad errori in equipe, sono investiti entrambi da obblighi giuridici di protezione della salute dell’assistito.

Preme da ricordare, in questo delicato ambito della farmacologia, che la sussistenza del principio della posizione di garanzia in capo ai professionisti li espone a responsabilità penale. L’art. 40 c.p. si esprime riguardo all’obbligo di impedire un evento, sia per azione che per omissione: “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

Ma da dove partire? Sicuramente dal significato di prescrizione e dai suoi presupposti analizzati attraverso sentenze che li hanno richiamati in causa.

La prescrizione

Da un punto di vista medico-scientifico il medico prescrive un farmaco in seguito ad un processo che può definirsi logico, cronologico e sequenziale. In particolare, giunge alla prescrizione dopo aver attuato le seguenti attività:

  • anamnesi del paziente;
  • esame obiettivo;
  • analisi della diagnostica di laboratorio e della diagnostica per immagini;
  • ragionamento diagnostico complessivo e individuazione di una sorta di “graduatoria” e fissazione delle situazioni in “ordine di importanza”;
  • individuazione di una serie di patologie o di quadri cliniciche possono essere inquadrati nel raggruppamento nosologi-co individuato;
  • scelta della diagnosi certa o probabile;
  • scelta dell’impostazione terapeutica (Puccini C. 1995)

Il caso del medico: prescrizione senza visita

Nel 2018 una pronuncia della Cassazione sez. pen. IV n. 3869, analizza il concetto circa la prescrizione fatta da un medico (in questo caso di Medicina Generale) senza aver visitato il suo paziente. Ricoverato da tempo in un Centro di Riabilitazione, affetto da un quadro patologico complesso (tetraparesi spastica e cerebropatia), riportò una frattura femore.

La Suprema Corte asserì che il medico non può svolgere una funzione quasi del tutto amministrativa, limitandosi a prescrivere solo i farmaci assunti di regola dal suo assistito, senza visitarlo. Il paziente morì per le complicanze tromboemboliche dovute alla frattura non riconosciute per tempo.

Analisi dei fatti:

  • difficoltà ad espimere il sintomo: il paziente non riusciva ad esprimere con chiarezza il motivo della profonda sofferenza, ma accusava dolore alla coscia destra;
  • segni/sintomi evidenti: non riusciva a mantenere la posizione eretta, seppur nella sua difficoltà, la coscia era gonfia;
  • intervento/presenza del medico: assente, il sanitario aveva omesso di visitarlo;
  • prescrizione: antibiotico, per un pregresso problema dentario, visita fisiatrica (prescritta a voce);
  • omissioni di atti/procedure salvifiche accertati: esame obiettivo, esame strumentale (Rx), farmaco a base di Eparina;
  • diagnosi effettiva: frattura di femore, accertata a distanza di circa 20 gg. e non dal medico (imputato).

La Corte quindi, in questo caso contestò la ormai prassi diffusa della prescrizione “contro legge” (contra legem) senza cioè aver visitato prima il paziente.

Ancora si espresse: se è vero che vi furono altre negligenze, va però ricordato, in tema di causalità, che non può parlarsi di affidamento sull’operato altrui quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte.

La somministrazione senza diagnosi medica

Quindi prendendo in esame la prescrizione al bisogno il medico si affida all’infermiere, il quale somministrerà quanto prescritto, ma con più di un problema apparentemente semplice.

Il medico infatti, gli trasferisce la responsabilità dell’analisi (esame obiettivo), di una eventuale diagnosi differenziale (di pertinenza medica), della conoscenza dei segni clinici e interpretazione dei sintomi soggettivi. Perciò rimane il punto nodale di una prescrizione “capovolta”, durante la quale l’infermiere è chiamato a formulare una diagnosi. Così facendo in molti casi esula da quella infermieristica, tanto da spingerlo verso quella medica, entrato nella quale commetterebbe abuso della professione. Infatti anziché la canonica :

  • valutazione e diagnosi (medico) – prescrizione (medico) – somministrazione (infermiere)

avremo una distorta

  • prescrizione (medico) – valutazione e diagnosi (infermiere) – somministrazione (infermiere
    )

Il caso dell’infermiere: somministrazione senza prescrizione

Nel 2015 un infermiere fu condannato in Cassazione (IV sez. pen., n. 16265) per esercizio abusivo della professione medica. Era stato accertato che per almeno nove volte (in diverse Strutture tra le quali Case di Riposo) aveva somministrato farmaci senza prescrizione del medico. Qui per la prima volta la Suprema Corte da un accenno riaguardo alla terapia al bisogno. Avendo accertato, infatti, che non vi era traccia alcuna di una eventuale prescrizione né nel diario clinico quanto meno nel piano terapeutico del paziente, va alla ricerca anche di possibili verbalizzazioni di dubbia legittimità come le “prescrizioni al bisogno”. Stando a significare che nell’eventualità pur non convenzionale ed impropria della presenza di terapia al bisogno, ci sarebbero potute essere delle attenuanti.

L’infermiere autonomo in Area Critica

E’ d’obbligo in questa sede menzionare e dare risalto allo stesso modo, al lavoro degli infermieri nei reparti di emergenza-urgenza. Senza dubbio oggi l’ambito delle competenza avanzate e specialistiche dell’infermiere ha innalzato la qualità e la sicurezza dei proprie espressioni professionali. Egli in autonomia riconosce proprio in tali casi la somministrazione in base allo stato di necessità ex art.54 c.p. ed all’art. 10 del D.P.R. 27/03/1992 che, all’art.10 riporta quanto segue: ”il personale infermieristico professionale, nello svolgimento del servizio di emergenza, può essere autorizzato a praticare iniezioni per via endovenosa e fleboclisi, nonchè a svolgere le altre attività e manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali, previste dai protocolli decisi dal medico responsabile del servizio.

DEA, Centrale operativa 118, Pronto Soccorso, Terapia Intensiva, sezioni di reparto di sub-intensiva in diverse Unità Operative (Cardiochirurgia, Neurochiurgia, ecc.). In tutti questi ambienti quotidianamente, gli infermieri sono già chiamati ad esprimere capacità specialistiche ed esperienziali verso quadri clinici che variano in modo rapido, con la possibilità di agire in autonomia (farmaci salvavita) in base a protocolli stabiliti (Triage, See and Treat, invio soccorso Centrali 118 ).

Tanto che una pronuncia della Corte di Cassazione n°2541/2016 riguardo a questi Servizi di emergenza-urgenza riconosce una piena autonomia di professionalità raggiunta dalla formazione specifica. Addirittura afferma che l’infermiere “in qualche modo agisce da medico, essendo in grado di agire terapeuticamente in autonomia nell’immediatezza anche senza la presenza del medico”.

Studi

Alcuni studi, pur evidenziando una prassi di mancanza di documentazione degli eventi avversi, indicano problematiche serie legate alla terapia al bisogno. Si afferma da studi che la somministrazione al bisogno ha il potenziale di incoraggiare i pazienti alla partecipazione alla propria cura, gestendo segni e sintomi (Sinclair at al. 2014).

La percezione da parte del medico di perdere il controllo verso una terapia che ancora è sospesa e non effettuata, è parte di un concetto interessante e da approfondire. Egli potrebbe avere timore che la propria prescrizione possa essere usata malamente dall’infermiere e rappresentare una “mina vagante” e a lungo andare provocare seri danni. In uno studio infatti i medici si aspettavano che comunque gli infermieri li interpellassero prima di procedere alla esecuzione, mentre questi ultimi al contrario si sentivano investiti di una certa autonomia in quanto c’era già la prescrizione e nulla li obbligava più a rivolgersi ai prescrittori.

La capacità di documentare accuratamente i sintomi dei pazienti e le cure fornite è considerata una competenza fondamentale della professione infermieristica (Wilkinson 2017). Tuttavia, i ricercatori hanno trovato scarsa concordanza tra note infermieristiche e rapporti verbali o osservazioni di eventi (Marinis et al. 2010 J Clin Nurs, 19, 1544-1552), con notevole carenza di informazioni.

Inoltre proprio la somministrazione di farmaci al bisogno è stata costantemente notata come inadeguatamente riportata ( ad es. Baker et al., 2008, J Clin Nurs, 17, 1122-1131). Gli infermieri che utilizzano EHR (electronic health record) hanno documentato più informazioni rispetto a quelli che utilizzano grafici cartacei, incluso il motivo della somministrazione e l’efficacia.

Conclusioni

Gli studi sulla PRN concordano essere una pratica cruciale ma poco analizzata. Una corretta politica di gestione della terapia al bisogno dovrebbe essere diretta ad un corretto programma formativo verso gli infermieri che si trovano a gestirla e ad una chiara educativa verso il paziente.

Ciò nonostante è forte il richiamo a situazioni che sono riconducibili al tema. L’affidamento della somministrazione al familiare caregiver o l’assistente privato/badante, la gestione/automedicazione/autodiagnosi (in luogo extra-sanitario) con farmaci già in programma, l’uso autonomo di farmaci da banco (Over the Counter) senza cioè prescrizione medica, la qualità e l’autonomia esperta raggiunta dall’infermiere oggi, sono spunti sui quali riflettere a lungo.

Infermiere Legale Forense Giovanni Trianni

Fonti:

  • Adelaide D., Rawther F. Audit: Prescribing PRN medication. Psychiatr Danub. 2017;29 (Suppl 3):568-570. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/28953830/
  • Puccini C., Istituzioni di medicina legale. Milano: Ambrosiana, 2015
  • Ministero della Salute. Raccomandazione per la prevenzione della morte, coma o grave danno derivati da errori in terapia farmacologica, Raccomandazione n. 7. Marzo 2008 https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_675_allegato.pdf
  • Benci L. La prescrizione e la somministrazione dei farmaci. Responsabilità giuridica e deontologica. Coppini Firenze, II Ed., 2014
  • Vaismoradi M, Amaniyan S, Jordan S., Patient Safety and Pro Re Nata Prescription and Administration: A Systematic Review. Pharmacy (Basel). 2018;6(3):95. Published 2018 Aug 29. doi:10.3390/pharmacy6030095 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/30158511/
  • Martin K, Ham E, Hilton NZ. Documentation of psychotropic pro re nata medication administration: An evaluation of electronic health records compared with paper charts and verbal reports. J Clin Nurs. 2018;27(15-16):3171-3178. doi:10.1111/jocn.14511 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/29752835/
Giovanni Trianni

Infermiere presso DSM ASL Lecce. Docente, Formatore e Tutor. Master in infermieristica legale forense, Master in Management per Funzioni di Coordinamento delle Professioni Sanitarie, Master in Psicologia Investigativa e Scienze Criminali. Membro APSILEF. I suoi lavori spaziano nella sfera dell'infermieristica legale forense con uno sguardo attento alla responsabilità professionale, al diritto del lavoro, al rischio clinico, alla malpractice fino alla cronaca sanitaria.

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