Infermieristica: oltre la professione

Riceviamo e pubblichiamo un elaborato a cura di: Cosimo Della Pietà, professore a contratto Università di Bari, Cdl in Infermieristica, sede Taranto MM; Miriana Limitone e Gaia Pantaleo, studentesse Università di Bari, Cdl in Infermieristica, sede Taranto MM.

“Per essere dei buoni infermieri dovete usare il cuore”. Questo è stato il concetto base con il quale abbiamo iniziato ad approcciarci all’infermieristica. Per questo motivo, abbiamo deciso di approfondire il ruolo dell’infermiere sia sotto l’aspetto professionale che umanistico. In ciò è stata illuminante la figura di una teorica dell’assistenza infermieristica: Hildegard Peplau.

Questa ricerca è stata condotta, attraverso lo studio della teorica e di varie interviste raccolte sul web e condotte personalmente, nell’intento di chiarire il ruolo essenziale dell’infermiere molto spesso denigrato dall’opinione comune che lo considera un “lavoro di basso prestigio”. Ma come può avere poco prestigio una professione che genera complicità ed empatia tra il paziente e chi offre aiuto e assistenza?

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HILDEGARD PEPLAU E LA “PSYCODINAMIC NURSING”

Il pensiero teorico di Peplau è fortemente incentrato su un modello psicodinamico e definisce l’assistenza infermieristica come una relazione interpersonale significativa, ovvero basata sull’esplorazione e sulla gestione dei significati psicologici di valori, sentimenti e comportamenti del paziente. Il ruolo dell’infermiere, così, è soprattutto quello di sostenere il paziente con la relazione (counseling) al fine di identificarne i bisogni e risolverne i problemi.

La relazione infermiere-paziente ideata da Peplau prevede quattro fasi:

  1. orientamento: l’infermiere, il paziente e, in alcuni casi, i familiari si incontrano e collaborano per instaurare una relazione positiva e per fare in modo che la persona non viva con tensione la percezione del suo bisogno;
  2. identificazione: il paziente si identifica con colui che potrà aiutarlo attraverso un chiarimento di aspettative e modalità di comportamento che permette al paziente di raggiungere la consapevolezza delle proprie chances di ovviare al suo problema;
  3. utilizzazione o sfruttamento: infermiere e paziente progettano insieme gli obiettivi da raggiungere e il paziente matura l’idea di essere in grado di auto-assistersi;
  4. risoluzione: il paziente si affranca gradualmente dall’identificazione con l’infermiere fino allo scioglimento del rapporto terapeutico.

I ruoli che Peplau ha individuato come possibili per l’infermiere, all’interno della relazione terapeutica interpersonale, sono:

  • Ruolo dell’estraneo: utile nelle prime fasi del rapporto quando persona e infermiere non si conoscono ancora e l’infermiere deve accettare il malato senza alcun pregiudizio;
  • Ruolo della persona di sostegno: il professionista deve essere per il paziente una risorsa in grado di rispondere in maniera adeguata ai dubbi del malato riguardo al piano di assistenza e i relativi trattamenti;
  • Ruolo di educatore: l’infermiere conduce il malato a servirsi della propria esperienza come occasione di apprendimento;
  • Ruolo di guida democratica: l’infermiere porta l’assistito a raggiungere gli obiettivi assumendo un ruolo di supervisione, partecipazione e cooperazione;
  • Ruolo di sostituto: il paziente attribuisce all’infermiere figure vicine a sé quali la madre o il padre. Infatti gli atteggiamenti e i comportamenti dell’infermiere possono creare una vasta gamma di emozioni nell’assistito ,tali da riattivare sentimenti provati in relazioni precedenti;
  • Ruolo di consulente(o consigliere) : ruolo di consigliere assunto dall’infermiere, che Peplau ritiene il più importante in ambito psichiatrico;infatti lo scopo delle tecniche interpersonali è quello di aiutare il paziente a comprendere perfettamente la situazione attuale e quello che gli sta accadendo,cosicché l’esperienza possa essere integrata anziché dissociata dalle altre esperienze della vita.

DALLA TEORIA ALLA REALTA’: STORIE DI INFERMIERI

Abbiamo confrontato le informazioni ottenute dalle interviste ricavate dal web e quelle condotte personalmente rivolte al personale infermieristico.

Tiziana Ognibene, 28 anni, infermiera  del reparto di Chirurgia generale e oncologica dell’ospedale San Raffaele Giglio di Cefalù.

“Fare l’infermiera è il mio grande amore, qualcosa in cui credo con tutta me stessa, mi piace essere quell’attimo di pace, di sorriso, di speranza nelle situazioni di dolore e malattia che vivono i pazienti che incontro ogni giorno nel mio lavoro. L’infermiere è il responsabile dell’assistenza generale dei pazienti. Si prende cura di loro, redige la cartella infermieristica, somministra le terapie prescritte dal medico e formula un piano di assistenza personalizzato per ogni paziente. E soprattutto deve saper curare l’aspetto relazionale e umano con il paziente, deve entrare in empatia con loro e con i loro familiari, essere in grado di dare quel sostegno umano, oltre che sanitario, che può diventare quella leva di coraggio in più per tutti gli ammalati. Nell’ambito in cui io opero è la diagnosi di cancro a generare nei pazienti e familiari, paura, dubbi e il desiderio di ricevere risposte chiare e comprensibili, oltre che sostegno e comprensione. Per questo motivo ogni giorno supporto i pazienti ad affrontare l’intervento e le cure durante il periodo di ricovero, cerco di favorire la speranza, aiutando il dialogo tra ammalati, familiari e medici. Ed è dunque questo il mio obiettivo, favorire quel conforto che non deve mai mancare tra paziente, familiari e l’intero team ospedaliero a cui si affidano, una squadra che ha come obiettivo non solo curare ma anche prendersi cura”

.

 Carmen Gilmartín, Spagna.

Il medico cura il paziente, ma è l’infermiera che si prende cura di lui. Questo spesso vuol dire dare sostegno a pazienti che stanno male sia fisicamente che psicologicamente, come quelli che scoprono di avere una malattia cronica o poco tempo da vivere. Devi essere una madre per il malato”.

Araceli García Padilla, Messico.

“L’infermiera deve mostrare calore umano. Deve essere tollerante e mostrare empatia”.

Antonella, 54 anni, infermiera presso l’ospedale SS Annunziata di Taranto.

Questo lavoro deve essere necessariamente supportato dal cuore, poiché chi entra in un reparto ha paura e ha bisogno di trovare, nella prima persona che incontra, fiducia, un sorriso, una parola dolce, in modo da sentirsi più rilassato e pronto ad affrontare la problematica riscontrata. Personalmente ritengo di essere più predisposta a relazionarmi, in ambito assistenziale, ai bambini e agli anziani, ovvero quelle figure che ritengo facciano parte della classe più indifesa. Infatti, i bambini non sapendo a cosa vanno incontro, hanno bisogno che la situazione gli venga presentata in modo ludico. Gli anziani, invece, sanno a cosa vanno incontro e sono spaventati, dunque il nostro compito deve essere quello di rassicurarli”.

Roberta, 21 anni, tirocinante presso l’ospedale SS Annunziata di Taranto.

“Non essendo un’infermiera laureata, ma una tirocinante, il modo di rapportarmi con i pazienti è sempre una grande sorpresa. La priorità di un infermiere è il benessere del paziente. L’infermiere è prima di tutto il miglior confidente dell’assistito, deve ascoltare e soddisfare al meglio i suoi bisogni, cercando  di alleviare le sue sofferenze con gentilezza, delicatezza ed un sorriso. Noi infermieri abbiamo scelto un lavoro difficilissimo, che ci costringe a distinguere nettamente la vita privata dal lavoro non riversando in alcun modo i nostri malumori sui pazienti. Seppur impegnativo e con innumerevoli sacrifici, se fatto con passione, il nostro lavoro è il migliore del mondo”.

Patrizia, 38 anni, infermiera del 118.

“L’infermieristica è passione, amore, pazienza e dedizione, è una professione nella quale è necessario utilizzare cuore ed anima; la legge primaria dell’infermiere è: non fare agli altri ciò che non vorresti venisse fatto a te. Il paziente non deve essere visto come una malattia, ma come essere umano, del quale non bisogna calpestare la dignità. La prima cosa che ti insegnano all’università è che un sorriso, una stretta di mano o un abbraccio valgono  più di mille medicine. Talvolta, però, anche se con difficoltà, bisogna creare una sorta di sottile muro tra te e il paziente per non rischiare il cosiddetto Burn-out, che porterebbe l’infermiere a gestire la propria vita e il proprio lavoro senza serenità”.

Mattia, 19 anni, operatore del 118 Taranto.

“Il mio rapporto operatore-paziente è diverso rispetto a quello che si può instaurare tra un paziente ed un infermiere di reparto, poichè non devo trovarmi a contatto con l’assistito per settimane o addirittura mesi. Nel team del 118 ho a che fare con una vasta quantità di gente da soccorrere nel minor tempo possibile. Certamente lo stato mentale di una persona che si ricovera è diverso rispetto ad una vittima che chiama i soccorsi. Questo però non mette in discussione il legame empatico che ti fa immedesimare nel paziente e ti fa dare del tuo meglio per garantirgli il massimo delle cure nelle tue possibilità. Nonostante la tempistica sia molto breve, infatti, si instaura  con le persone un legame indescrivibile che,tra tenerezza e speranza,resta per sempre”.

Ciò che volevamo dimostrare e che abbiamo riscontrato dall’analisi delle interviste raccolte, risulta essere chiaro. La Peplau afferma, che è necessario instaurare un rapporto interpersonale terapeutico, tra paziente e infermiere, che si esplica attraverso l’assunzione di vari ruoli da parte del professionista e il susseguirsi di fasi operative. Questo modello teorico ben rappresenta il modo in cui tutt’oggi i professionisti in ambito sanitario si rapportano agli assistiti e alla loro professione. Le conoscenze, l’esperienza e soprattutto la voglia di aiutare l’altro entrando in empatia con lui, fanno dell’infermiere una figura essenziale e completa nell’ambito sanitario.

SITOGRAFIA:
https://wol.jw.org/it/wol/d/r6/lp-i/102000802
https://www.palermotoday.it/social/segnalazioni/intervista-marina-fontana-infermiera-tiziana-ognibene-ospedale-giglio-cefalu.html

 

Redazione Nurse Times

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