Home (quando ero un’infermiera di famiglia)

“Lo chiamano infermiere care manager, o case manager, che fa molto figo ma nessuno sa chi sia. Forse infermiere di famiglia sarebbe più facile da comprendere ma chi è che ha un infermiere in una famiglia? Chiamiamolo infermiere di comunità, e quindi?”. Riportiamo la testimonianza che Laura Binello, infermiera e scrittrice, ha pubblicato sulla sua pagina Facebook.

“Oggi in una casa che ho visitato, – scrive, – c’era un neonato di tre mesi e un bisnonno di ottantasette anni ottantasette.

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“Ieri il neonato era nel mio consultorio pediatrico per il bilancio di salute, il peso, l’altezza, l’allattamento. Oggi il suo bisnonno ha una lesione ulcerativa vascolare in una gamba e dovrò prendermene cura con medicazioni settimanali.

“In mezzo al neonato e al vecchio c’è una mamma a cui dieci anni fa mettevo un elastomero di chemioterapia nell’addome, e c’è anche un papà che prende un farmaco anticoagulante e che tutte le settimane, da almeno cinque anni, buco per un prelievo di sangue di controllo.

“C’era anche una nonna che aveva l’ossigeno continuo per via di una bronchite cronica ma adesso non c’è più.

“E c’è anche un ragazzino ipoacusico grave con un impianto cocleare infilato nelle orecchie per il quale ci eravamo sbattuti tanto con la medicina protesica per le pratiche della prescrizione.

Questi bambini, oggi giovani adulti, devo averli vaccinati tutti, dalle vaccinazioni dei bambini fino all’antitetanica, di sicuro li ho bucati tutti per un prelievo, e credo di poter affermare che ho di sicuro in agenda il loro numero di telefono, di casa, di via, di regione, di località, di strada, di piazza, di bricco

.

“Percorro tutti i giorni le stesse strade da troppi anni.

“Frequento le stesse case e le stesse persone da troppo tempo.

“I cortili sono i miei ambulatori, le cucine le mie sale operatorie, le camere da letto le mie storie.

“Mi piace il mutare delle stagioni quando una ferita si apre in inverno e si ripara in primavera, mi piace camminare nella neve per raggiungere una casa isolata e amo fermarmi ad ascoltare le storie di vita, di malattia e di rinascita.

“Lo dico oggi che ho vissuto una giornata pesante, così pesante che ho rimpianto per un momento la sicurezza di una professione protetta e subalterna ospedaliera, dove se non sai fare una cosa sa farla un collega e se anche quel collega non sa farla c’è gerarchicamente qualcuno che saprà farla.

Ma è stato un attimo, giusto il tempo di realizzare che saper fare non è saper essere e non sempre è necessario fare per portare a casa un successo.

“Mi piace pensare che la terra che calpesto è una terra buona, terra da vino, terra da amare, terra da rispettare.

“Mi piace entrare in una casa senza causare dolore per qualsivoglia prestazione che altri faranno, necessariamente.

“Oggi mi prendo il lusso di sapere chi sono in questa grande confusione di appellativi e ruoli, di mandati e risultati attesi.

“Oggi sono io.

“Un’ infermiera di famiglia, di casa.

“Perchè avere un posto dove andare è una casa. Avere qualcuno da amare è una famiglia.

“Qualcuno da curare a casa una magnifica esperienza”.

Cristiana Toscano

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