Hiv e droghe iniettive: negli Stati Uniti causano più morti delle guerre

Screening e programmi preventivi restano i metodi migliori per controllare e ridurre l’incidenza della malattia.

Si è svolta a Boston, dal 4 al 7 marzo, la CROI, conferenza annuale sui retrovirus e le infezioni opportunistiche, giunta quest’anno alla sua 25esima edizione. Tra i diversi temi trattati spicca quello realativo all’HIV e alla sua correlazione con le dipendenze da droghe iniettive.

Proprio negli Stati Uniti, infatti, i numeri dei sieropositivi continua ad aumentare. Risultano particolarmente a rischio i tossicodipendenti e i cittadini latino-americani appartenenti alla comunità omosessuale. A preoccupare la popolazione statunitense è inoltre la crisi degli oppioidi, che colpisce i giovani sotto i 35 anni, generalmente appartenenti alla classe media e considerata vera e propria emergenza nazionale.

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Nel 2016 si sono contati circa 64mila morti da overdose, più o meno lo stesso numero delle vittime delle guerre in Iraq, Vietnam e Afganistan. Si tratta di un paragone molto forte, che però acquista valore se si pensa ai continui, nuovi casi di sieropositività tra i giovani tossicodipendenti per via iniettiva. In altri Paesi, invece, il virus dell’HIV sembra prediligere la via sessuale come mezzo di trasmissione. Per esempio in Svizzera, dove sono particolarmente a rischio gli uomini omosessuali.

In Italia la situazione non è migliore: sempre nel 2016 si sono registrati 3.451 nuovi casi di contagio e 778 casi di Aids. Nonostante questi dati allarmanti, il problema sembra sottovalutato nel nostro Paese, dove si parla poco di questa condizione, sovente viene sottostimata. Diagnosi e trattamento precoci restano attualmente le possibilità migliori per ridurre l’incidenza e la pericolosità della malattia.

Non esiste una cura definitiva per l’HIV, ma è possibile azzerare quasi totalmente la carica virale dei soggetti sieropositivi per mezzo di alcune terapie, che però necessitano di essere assunte per tutta la vita

. I casi di trasmissione della malattia, nei soggetti opportunamente trattati, sono notevolmente inferiori, grazie alla bassa carica virale nelle persone che assumono la terapia.

Fondamentali, anche per aumentare l’efficacia di queste terapie, sono i test di screening, che consentono di identificare i soggetti affetti dalla patologia, la quale può comunque restare asintomatica anche per diversi anni dopo l’infezione. Tali test possono essere svolti, anche in contesti extraospedalieri, da personale sanitario o civile, se opportunamente addestrato.

Altro metodo utilizzato per la prevenzione dell’HIV è la Prep, terapia profilattica pre-esposizione, che nonostante la scarsa diffusione in Italia, altrove (per esempio in Francia e a San Francisco) ha svolto un ruolo importante nella limitazione dei contagi. Tale terapia consiste nell’assunzione del farmaco come profilassi o on-demand, prima dell’esposizione al virus, avvenuta in seguito a un comportamento a rischio. Le criticità di queste terapie sono legate alle difficoltà di prescrizione e reperimento dei farmaci e al fatto che le spese per l’acquisto degli stessi sono interamente a carico del consumatore.

Screening e programmi preventivi restano dunque i metodi migliori per controllare e ridurre l’incidenza della malattia. È evidente che la correlazione tra HIV, tossicodipendenze da droghe iniettive e comportamenti sessuali a rischio rappresenta una delle principali cause dell’aumento di sieropositivi nei Paesi occidentalizzati. Tali programmi educativi e di prevenzione, pertanto, devono focalizzarsi anche su questi comportamenti, al fine di risultare efficaci e significativi per la popolazione.

Nicolò Roberi

Fonte: Repubblica

 

Redazione Nurse Times

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