‘’Proffe, una domanda : ma perché i medici non scrivono le terapie in stampatello? E’ incredibile, se non si comprende cosa dice la prescrizione, cala la sicurezza degli assistiti…’’.
Con queste frasi chiare e semplici una studentessa del corso di laurea in Infermieristica ha dimostrato interesse verso il settore del Rischio Clinico e, da uno scambio di opinioni sulle esperienze direttamente vissute, ha deciso di produrre una tesi su questo caldo ed attuale argomento.
Lo so: siamo al termine dell’anno solare 2020, siamo in piena bufera Covid19 e la nostra attenzione è più che mai rivolta a questa epidemia, nei suoi vari aspetti professionali e personali che coinvolgono i professionisti sanitari; ma così come non sono svanite le altre patologie e le altre questioni attive nel mondo della Sanità, restano alte le criticità su aspetti quotidiani che da anni si tenta, in qualche modo, di risolvere.
Ho cominciato ad appassionarmi di Rischio Clinico per due situazioni che si sono presentate nella mia vita professionale più o meno contemporaneamente.
Da infermiere di anestesia fui testimone di un evento sentinella, uno di quegli errori che vengono definiti così perché tra i più gravi che si possono verificare in Sanità; non ci fu nessuna conseguenza, se non aver sottoposto una paziente ad una inutile narcosi, ma l’artroscopia quella volta venne iniziata (poi subito interrotta) sul ginocchio controlaterale, quello sano: un classico ‘’errore di lato’’, possibilità sempre in agguato, oggi fronteggiata nella Raccomandazione ministeriale numero 3 dopo decine di incidenti simili, anche molto più gravi (tipo asportazione del rene sano, eccetera).
L’altra motivazione venne sostenuta da un paio di colleghi, che ci raggiunsero negli uffici dell’allora ‘’Collegio IPASVI’’ spezzino (oggi Ordine degli infermieri) chiedendo aiuto e sostegno per un avviso di garanzia, ricevuto a seguito di un errore di terapia.
A quel punto per aiutarli mi appassionai all’argomento, al punto che, dopo una vita di pratica in emergenza e urgenza, iniziai a occuparmi proprio di Rischio Clinico anche sul lavoro: ma non di me vorrei parlare, bensì del fatto che si resta sinceramente stupiti e basiti di come alcuni passaggi di sicurezza siano costantemente violati, nonostante ripetute conferme, dimostrazioni, perfino ‘’sentenze’’ che vanno in una direzione opposta al ‘’tran tran ‘’ ordinario e quotidiano.
La studentessa che non si capacita della scelta del medico prescrittore di utilizzare solo il corsivo (e che corsivo!) è già molto più avanti, in materia di cultura della sicurezza, di tanti altri protagonisti della sfera della terapia.
Ma esistono riferimenti che possono essere presi in esame per quanto riguarda le modalità di prescrizione della terapia? Assolutamente sì e sono proprio pubblicate all’interno delle Raccomandazioni ministeriali che, più di una volta, riportano l’attenzione sulla necessità di scrivere ‘’possibilmente in stampatello’’: lo fanno nella numero 7, nella numero 12, nella numero 14 e ancora nella numero 18.
Chi emette le Raccomandazioni? Il Ministero della Salute, come è noto: lo fa attraverso l’azione della Direzione Generale della programmazione sanitaria- Ufficio 3; si tratta di una struttura che riprende lavori internazionali e nazionali tutti rivolti allo studio di errori realmente accaduti.
Io qui non intendo ripetere cose facilmente recuperabili in Rete, su siti validati o, appunto, anche scorrendo le 19 Raccomandazioni del Ministero (le quali, attenzione: in ben SETTE casi sono rivolte alla sfera della terapia: queste raccomandazioni sono la 1, la 7, la 12, la 14, la 17, la 18 e la 19; segno che la terapia è qualcosa che in materia di Rischio Clinico è terreno che scotta, anzi che brucia… e chi è il ‘’garante della corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico- terapeutiche’’? Sì, è l’infermiere, cfr DM 739 del 14 settembre 1994, più conosciuto come ‘’profilo professionale’’ dell’infermiere italiano).
Vorrei in realtà soltanto invitare alla riflessione i colleghi che fisicamente si occupano di terapia, che cioè ‘’la praticano’’, che iniettano farmaci, che calcolano proporzioni e che dividono compresse (cosa, ad esempio, non sempre chiara a tutti e normata dalla Raccomandazione 19).
Ma purtroppo questi sistemi costano: chissà se, nelle more dei vari finanziamenti che la Sanità sta recuperando, a fatica, in ottica Covid, si potrà disporre anche di investimenti in questa direzione?
Quindi, si stima che oggi circa il 98% del personale sanitario italiano prescrive (il medico) senza computer e somministra (l’infermiere) leggendo le prescrizioni manuali così redatte. Il rischio errore, così come richiamano le citate Raccomandazioni, è molto elevato.
Quanto? Molto difficile quantificare. Anni fa, nel Luglio 2015, una rivista dedicata al lavoro dei medici dentisti, ‘’Il Dentista Moderno’’, riprese un lavoro della Regione Lazio e indicò in una stratosferica percentuale dell’84% gli errori che sono legati alla cattiva grafia del prescrittore (sul totale complessivo degli errori in corso di terapia) : qui il link
Ora un concetto base del Rischio Clinico (e degli interventi che conducono al suo controllo, cioè del ‘’Risk Management’’) è che basta una situazione di pericolo per creare un momento di rischio: esempio classico, un paziente abbandonato in un Pronto soccorso su una barella senza sponde, che non cade, ha comunque vissuto una situazione di ‘’rischio caduta elevato’’.
Anni fa un collega mi ricordava che lui trovò sul foglio di terapia una prescrizione ‘’in corsivo’’ dove sembrava di poter ‘’tradurre’’ la parola con un LASIX, ma anche con un LANOXIN, o meglio si riusciva a comprendere bene la sola presenza delle lettere L, A, X, I: ma dal furosemide alla digitale la strada è tanta. Come fece giustamente il collega Filippo, direi che si deve imboccare una scelta che non è una opzione, ma un obbligo professionale, a tutela dell’assistito e a tutela del professionista infermiere (e paradossalmente anche a tutela di chi ha scritto così male!) : NON SI DEVE INTERPRETARE nulla, non si somministra.
Questo medico non è presente? Si cerca un altro medico, ed ovviamente questo secondo passaggio è legato alle condizioni di lavoro ed a quella organizzazione (c’è un medico di guardia, oppure c’è un reperibile, o ancora c’è un direttore sanitario: esistono nelle varie realtà differenti opzioni, e qui conta il ‘’criterio’’, e non la attuabilità che viene modulata dalle singole organizzazioni).
Mi preme ricordare ai colleghi che, come è stato molte volte ribadito in molte situazioni giudiziarie, che ho sperimentato come CTU, ogni professionista sanitario, quindi anche gli infermieri, rivestono nei confronti degli assistiti una ‘’posizione di garanzia’’: non serve un principe del foro per dimostrare che un infermiere che decide che su quella prescrizione c’era scritto ‘’LANOXIN’’, e poi inietta un dosaggio di questo prodotto a chi aveva già una elevata quota digitalica, non ha applicato alcuna garanzia, né ha agito nel rispetto delle Raccomandazioni che sono state rivolte anche a lui, come riportato a inizio testo!
E arriverà a questo punto qualcuno che dirà: ma come, per le nostre scarse retribuzioni ci tocca anche andare a discutere se una parola non è interpretabile? Sì, direi di sì; anzi diventa in un certo senso perfino un motivo in più…altrimenti possono aversi complesse, pesanti conseguenze, quando è invece possibile intercettare il rischio e- semplicemente- astenersi dal mettere tutti i protagonisti in una situazione pericolosa: non sono certo io a dirlo, ma l’analisi dei tanti, troppi incidenti presi in esame che si sono succeduti nel corso degli anni, e che hanno prodotto non tanto processi e condanne, ma soprattutto lesioni e morte a persone soggette alla ‘’presa in carico’’ del sistema, sistema del quale facciamo parte.
Sistema e organizzazioni che spesso l’errore, in un certo qual senso, lo vanno a ‘’promuovere’’: vedi organici incompleti o condizioni di lavoro precarie; e le abitudini pessime, come la interruzione dell’infermiere che somministra, ad esempio: ma io resterei oggi agganciato sulla questione delle prescrizioni insicure e del corretto atteggiamento professionale: di interruzione, ad esempio, ci occuperemo presto.
Chiuderei con qualche modesto riferimento normativo ed una piccola ipotesi di ‘’istruzione per l’uso’’: sui riferimenti, insisto sul valore delle Raccomandazioni, che non sono un elenco di buone intenzioni, anzi: esse richiamano, secondo alcuni giuristi, il Codice Penale all’art. 40: ‘’…non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo’’, così recita l’articolo in questione.
Dunque: se siete in una realtà dove scrivono malissimo e non capite una sola H di quanto ‘’vergato’’ con incerta grafia dal professionista prescrittore, che fare? Astenetevi da ogni interpretazione, dunque da ogni somministrazione. Poi, in sequenza: cercate quel medico, o altro medico; cercatelo con testimoni, se possibile, e comunque dichiarate scrivendo sulla documentazione professionale in utilizzo- qualunque essa sia- che non avete potuto somministrare la terapia al signor Tizio perché la prescrizione non è leggibile ‘’in sicurezza’’. Non trasformate questa cosa in una accusa al medico Caio o al primario Sempronio; non ci serve e non è utile. Ci serve solo accertare e documentare che esisteva una condizione di insicurezza per il paziente (e, di conseguenza, anche per tutti gli altri soggetti coinvolti, ma limitiamoci all’assistito).
Questi passaggi sono importanti; farei anche una fotografia col cellulare della prescrizione insicura ed incerta ‘’a futura memoria’’.
Famoso, e tragico, è il caso della clinica lombarda dove un bambino cardiopatico morì, a causa di un classico errore di interpretazione: una fiala di Isoptin da 20 mg., prevista nelle intenzioni dei medici ‘’per via sublinguale’’, da assumere cioè per via orale una volta aperta, venne invece iniettata in vena dall’infermiera che aveva deciso per questa scelta, benché sul foglio di terapia NON fosse stata riportata la ‘’via di somministrazione’’ ma la sola posologia ed il tipo di farmaco (vedi la storia sul versante giuridico, qui: https://www.giornalegiuridico.com/medico-specializzando-colpa-professionale)
Quindi, proviamo così: resta del tutto nostra la facoltà di scegliere se essere cauti, attenti e responsabili, a vantaggio di tutti (anche nostro), con il concreto rischio di vederci assegnata la etichetta di rompiscatole (cosa che ha i suoi vantaggi quotidiani) o – in alternativa- provare comunque a interpretare una grafia incerta, col rischio di cascare in quell’84% di errore che potrebbe avere conseguenze drammatiche: a quel punto, essere più o meno simpatici, più o meno graditi, più o meno ‘’accondiscendenti’’ non servirà più.
Spero di non essere risultato troppo ‘’pesante’’, ma l’argomento non è esattamente frivolo, né leggero.
FRANCESCO FALLI, INFERIMIERE ESPERTO RISCHIO CLINICO
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