“Due dati per comprendere – aggiunge -: il rapporto infermieri pazienti che studi internazionali indicano come ottimale per abbattere la mortalità del 20% è di 1:6. In Italia abbiamo Regioni che sono a 1:17 (la Campania ad esempio) e altre a 1:8 come il Friuli-Venezia Giulia.
Assemblea delle professioni sanitarie e sociali – Roma, 23 febbraio 2019. “Quella dell’infermiere è la professione più vicina al paziente che segue 24 ore su 24 sia in ricovero che a domicilio. Ma non allo stesso modo in tutte le Regioni”, sottolinea all’assemblea di tutte le professioni sanitarie e sociali che si è svolta Roma, Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche, il maggior Ordine italiano con oltre 450mila iscritti.
“Due dati per comprendere – aggiunge -: il rapporto infermieri pazienti che studi internazionali indicano come ottimale per abbattere la mortalità del 20% è di 1:6. In Italia abbiamo Regioni che sono a 1:17 (la Campania ad esempio) e altre a 1:8 come il Friuli-Venezia Giulia. La carenza di infermieri, soprattutto sul territorio e quindi accanto ai più fragili e bisognosi di assistenza continua (malati cronici, anziani, non autosufficienti ecc.) è di circa 50-53mila unità, ma ci sono Regioni dove i numeri potrebbero considerarsi a posto (ad esempio Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia ecc.) e Regioni dove invece l’assenza di organici è pesante e mette l’assistenza a rischio (in Campania sono circa il 48% in meno di quelli che sarebbero necessari, raggiungono il 55% in meno in Calabria e il 56% in Sicilia)”.
“In questo modo – prosegue – anche l’introduzione della figura innovativa dell’infermiere di famiglia e comunità a fianco del medico di medicina generale – voluta fortemente anche dai cittadini – non può essere omogenea: al Nord infatti ci sono già esperienze e modelli affermati, al Sud gli infermieri sono troppo pochi anche solo per assistere i pazienti in ricovero, figuriamoci sul territorio”.
Secondo i dati Eurostat, l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea, una Direzione Generale della Commissione europea, che collabora a stretto contatto anche con Onu e Ocse, l’Italia nel 2016 aveva 557 infermieri ogni 100.000 abitanti (negli anni successivi sono diminuiti), mentre sei Paesi dell’Ue 28 tra cui i maggiori partner come Germania e Francia, superavano i mille (dai 1.172 del Lussemburgo ai 1.019 della Francia) e altre sette, tra cui anche il Regno Unito, erano comunque tra i 981 infermieri per 100.000 abitanti della Danimarca e i 610 dell’Estonia.
Per farlo ci si dovrebbe adeguare all’Europa, prevedendo più infermieri in formazione e occupazione, con evidenti progressi nell’eliminazione della carenza globale entro il 2030. La Commissione europea sottolinea che tutti i piani nazionali per la realizzazione della copertura sanitaria universale formulano proposte specifiche per migliorare e sviluppare il ruolo degli infermieri come professionisti della salute più vicini alla comunità; almeno il 75% dei paesi ha un infermiere con responsabilità di alta gestione in materia di salute; quel che serve è una rete globale di leadership infermieristica.
Mangiacavalli fa anche riferimento alla diversa epidemiologia della popolazione: le malattie croniche l’anno scorso – secondo i dati Istat da poco evidenziati nel rapporto Osservasalute – hanno interessato quasi il 40% della popolazione, cioè 24 milioni di italiani dei quali 12,5 milioni hanno multi-cronicità. Le proiezioni della cronicità indicano che tra 10 anni, nel 2028, il numero di malati cronici salirà a 25 milioni, mentre i multi-cronici saranno 14 milioni.
Attualmente infatti nel nostro Paese si stima che si spendono, complessivamente, circa 66,7 miliardi per la cronicità; stando alle proiezioni effettuate sulla base degli scenari demografici futuri elaborati dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) e ipotizzando una prevalenza stabile nelle diverse classi di età, nel 2028 spenderemo 70,7 miliardi di euro.
La prevalenza più elevata di almeno una malattia cronica si registra in Liguria con il 45,1% della popolazione. I Comuni sotto i 2.000 abitanti sono quelli con la quota più elevata di cronicità, quasi il 45%, mentre nelle periferie delle città Metropolitane si riscontra la quota più elevata di persone che soffrono di malattie allergiche, il 12,2% della popolazione residente.
“Anche per questo gli infermieri vogliono dare un contributo ancora maggiore al miglioramento della salute – ha detto -. Nel XXI secolo – conclude Mangiacavalli – vedremo più comunità e servizi a domicilio, una migliore tecnologia e la cura centrata sulla persona: gli infermieri saranno in prima linea in questi cambiamenti e per questo devono imparare a essere leader perché tutte queste qualità le hanno già sviluppate e fanno parte della loro vocazione e della loro professionalità: una nuova epidemiologia richiede nuovi modelli di assistenza e, per questi, c’è già il nuovo infermiere che deve essere specializzato e presente h24 sul territorio. Ma deve essere disponibile ovunque e in tutte le Regioni senza carenze e in modo omogeneo”.
Redazione NurseTimes
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