Epilessia e coronavirus: il punto della Sin

Lunedì 8 febbraio la Giornata internazionale dedicata a questa patologia neurologica. La Società Italiana di Neurologia ha spiegato la situazione nel contesto dell’emergenza pandemica.

In occasione della Giornata internazionale dell’epilessia, che si celebra lunedì 8 febbraio, la Società Italiana di Neurologia (Sin) fa il punto su questa patologia neurologica nel contesto dell’emergenza pandemica che stiamo vivendo. Si tratta di una malattia che interessa circa 50 milioni di persone in tutto il mondo e non meno di 500mila in Italia, e che l’Oms annovera tra le malattie sociali.

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“L’anno che ci siamo lasciati alle spalle e quello appena iniziato – ha dichiarato il professor Giancarlo Di Gennaro, direttore UO Centro per la chirurgia dell’epilessia IRCCS NEUROMED di Pozzilli (IS) e coordinatore Gruppo di Studio Epilessia Sin – sono stati caratterizzati da sfide inattese e complesse che hanno interessato tutti noi, pazienti e medici insieme: l’emergenza pandemica e il prolungato lock-down che ne è conseguito hanno messo a dura prova il sistema sanitario nazionale, e limitato l’accesso dei pazienti ai luoghi e alle prestazioni di cura”.

Prosegue Di Gennaro: “Queste difficoltà hanno pesato fortemente anche sulle persone con epilessia, affette da una patologia cronica che, in quanto tale, richiede cure periodiche e costanti, e che per di più si associa, in una percentuale non trascurabile di casi, a serie comorbidità cognitive, comportamentali e psichiatriche. In quest’epoca di distanza materiale e incertezza psicologica si è reso necessario il ricorso a strategie innovative per tentare di garantire la continuità dell’alleanza terapeutica. In particolare, la ‘telemedicina’ ha rappresentato una risorsa importante, e inevitabilmente si candida a conquistare sempre maggior spazio nella gestione di lungo termine delle patologie croniche come l’epilessia. In tal senso sarà fondamentale uno sforzo collettivo di istituzioni, società medico-scientifiche, pazienti e associazioni, per mettere a frutto l’esperienza della pandemia e rinnovare i modelli di cura e di impiego delle risorse, in modo da essere più preparati alle prossime sfide e più fiduciosi nel futuro”.

Le misure di prevenzione e la campagna vaccinale attualmente in corso rappresentano la chiave di volta per uscire dall’emergenza: le evidenze scientifiche a disposizione non suggeriscono che l’epilessia e i farmaci anti-epilettici rappresentino di per sé una controindicazione all’impiego del vaccino, cui quindi è auspicabile che le persone con epilessia si sottopongano secondo le modalità e le tempistiche previste dagli organi preposti. Molto resta ancora da fare nell’ambito della cura dei pazienti con epilessia: la pandemia in corso ha reso più pressante la necessità di rafforzare le politiche socio sanitarie a favore dei pazienti al fine di migliorare così l’accesso alle cure ed elevare sempre di più gli standard diagnostico-terapeutici.

“Quest’emergenza – ha commentato il professor Gioacchino Tedeschi, presidente Sin – ha dimostrato come l’investimento nella ricerca scientifica, in termini tanto culturali quanto economici, rappresenti una condizione indispensabile per ottenere gli strumenti necessari a cambiare in meglio la condizione dei pazienti, specie di quanti sono affetti da una patologia che, come l’epilessia, esercita un forte impatto sulla qualità di vita a tutti i livelli. A tale scopo, però, è soprattutto fondamentale educare e informare le persone sull’epilessia, mediante campagne divulgative su vasta scala, in particolare nelle scuole primarie e secondarie. Solo l’educazione capillare può infatti consentire di abbattere finalmente i pregiudizi e le discriminazioni sociali che si associano, da secoli, a questa malattia”.

Pur manifestandosi in tutte le epoche della vita, l’epilessia colpisce in particolare le fasce d’età più vulnerabili, registrando due picchi di incidenza: uno nei primi anni di vita, legato principalmente a cause genetico-metaboliche, e l’altro in età più avanzata, in virtù non solo dell’aumento dell’aspettativa di vita, ma anche della maggiore incidenza, negli anziani, di malattie vascolari e neurodegenerative. L’aspetto più negativo della malattia riguarda il fatto che le crisi si manifestano all’improvviso, in qualsiasi momento e contesto, e possono accompagnarsi a un’alterazione di coscienza che potenzialmente espone il paziente a seri rischi, esitando talora in cadute traumatiche e lesioni anche gravi.

Nonostante un vasto arsenale di farmaci dotati di meccanismi d’azione innovativi e tollerabili, ancora oggi un terzo circa dei pazienti risulta resistente al trattamento farmacologico. L’obiettivo che le scienze di base, in stretta alleanza con la ricerca clinica, si pongono dunque per il prossimo futuro è quello di cambiare radicalmente il paradigma del trattamento dell’epilessia, elaborando terapie che interferiscano con l’epilettogenesi, e che quindi siano in grado di curare la malattia e non solo i suoi sintomi, nel contesto di una medicina davvero centrata sul singolo paziente.

Sempre in quest’ottica, nei pazienti farmacoresistenti (e non) è inoltre possibile valutare, dopo un accurato studio prechirurgico multidisciplinare, la possibilità di ricorrere a un trattamento chirurgico finalizzato a rimuovere la regione di corteccia cerebrale responsabile delle crisi, spesso con ottime possibilità di guarigione. Qualora questa opzione non fosse percorribile, un’ulteriore risorsa è rappresentata dalla cosiddetta neuromodulazione, ossia un trattamento palliativo mediante l’impianto chirurgico di dispositivi (stimolatore vagale o stimolazione cerebrale profonda) che erogano impulsi elettrici diretti al cervello, in grado di ridurre progressivamente il numero e la gravità delle crisi.

Redazione Nurse Times

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