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Sindrome della morte in culla, individuato possibile marcatore che seleziona bambini più a rischio

La scoperta è frutto di uno studio australiano guidato da Carmel Harrington, divenuta esperta di sonno infantile dopo la morte del figlio in tenerissima età.

È l’incubo di ogni mamma e papà. La sindrome della morte in culla (Sids) sopraggiunge improvvisamente e inspiegabilmente in alcuni bambini con meno di un anno di età. Ora, però, uno studio del Children’s Hospital di Westmead, a Sydney (Australia) sembra aver individuato un possibile marcatore in grado di selezionare i bambini che sono più a rischio. Lo studio è stato guidato da Carmel Harrington, che è diventata un’esperta di sonno infantile dopo la morta di suo figlio, avvenuta quando ancora non aveva compiuto due anni. La scienziata spera che la sua scoperta renderà la condizione «un ricordo del passato».

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I ricercatori hanno scoperto che i bambini morti a causa della Sids avevano livelli più bassi di un enzima che aiuta gli esseri umani a svegliarsi dal sonno. Si tratta della butirrilcolinesterasi. «Di solito, se un bambino si trova di fronte a una situazione pericolosa per la vita, come difficoltà a respirare durante il sonno perché è a pancia in giù, si sveglierà e piangerà – spiega Harrington –. Quello che questa ricerca mostra è che alcuni bambini non hanno la stessa forte spinta a svegliarsi. Ora che sappiamo che è coinvolta la butirrilcolinesterasi, possiamo iniziare a cambiare l’esito per questi bambini e rendere la Sids un ricordo del passato».

Nel Regno Unito si stima che circa quattro bambini muoiano di Sids ogni settimana, mentre negli Stati Uniti le stime sono superiori. In Italia è un evento raro, che riguarda un numero di circa 150 bambini morti ogni anno. Nello studio, pubblicato sulla rivista eBioMedicine di The Lancet, i ricercatori hanno analizzato 722 campioni di sangue di bambini coinvolti nel programma di screening neonatale nel New South Wales

tra il 2016 e il 2020. Ventisei dei bambini sono successivamente morti di Sids e tutte le vittime avevano livelli significativamente più bassi di butirrilcolinesterasi nel sangue alla nascita rispetto ad altri bambini. L’enzima svolge un ruolo nel sistema colinergico del corpo, che ha varie funzioni cerebrali che regolano cose come l’attenzione, il sonno e la veglia.

La fase successiva dello studio, stando a quanto riferisce Harrington, sarà quella rendere la misurazione dei livelli di questo enzima una parte importante dei controlli sanitari di routine che si fanno ai neonati. Il team esaminerà anche i modi per aumentare l’enzima nei bambini, ma questo secondo i ricercatori richiederà circa cinque anni. Attualmente tutti i neonati sono soggetti a esami del sangue di routine, ma i medici in genere non cercano differenze nei livelli di butirrilcolinesterasi.

«Un bambino apparentemente sano che va a dormire e non si sveglia è l’incubo di ogni genitore, e finora non c’era assolutamente modo di sapere quale bambino sarebbe morto, ma non è più così», sottolinea Harrington, secondo la quale i risultati potrebbero anche aiutare i genitori in lutto a comprendere l’accaduto e a superarlo. Questa angoscia per la mancanza di risposte è qualcosa che l’ex avvocato, diventato poi esperta di sonno, conosce fin troppo bene dopo la morte del figlio Damien, di un anno, avvenuta tre decenni fa.

«Odio dirlo, ma a tutti gli effetti era assolutamente perfettolo», dice Harrington riferendosi al figlio, trovato a faccia in giù, morto nel suo lettino pochi giorni prima del suo secondo compleanno. «Quasi trent’anni dopo, mi toglie ancora il fiato pensare che rideva solo poche ore prima», ricorda la scienziata. Non avendo trovato risposte sulla tragedia che l’ha colpita, è tornata all’università per diventare un’esperta del sonno infantile e aiutare a trovare possibili cure. E adesso è più vicina che mai al suo obiettivo.

Redazione Nurse Times

Fonte: Sanità Informazione

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