Coronavirus, parola di infermiere: “Ci sacrifichiamo per il benessere del popolo”.

Riceviamo e volentiri pubblichiamo un contributo del collega Emanuele Battiston.

Quando la Protezione civile chiama, siamo specializzati, indispensabili. Nel quotidiano siamo intercambiabili, tuttofare, se non imboscati o nullafacenti. Eppure è stato annunciato che oltre il 50% dei volontari che si sono offerti è specializzato in area critica, in rianimazione, in emergenza/urgenza.No, non voglio cedere a facili demagogie o fare polemica sempre e comunque. Però questo dato deve farci riflettere, e tanto! Da anni abbiamo un percorso di specializzazione clinico, eppure non è riconosciuto economicamente e giuridicamente. Solamente quando ci sono condanne da infliggere, allora si, “non possiamo non sapere”.Fino a un mese fa eravamo l’ultima ruota del carro, quelli che, da bravi burattini, eseguono ordini, quelli che non hanno potuto studiare medicina e si sono riciclati. Perché, a quanto pare, non si può voler essere un infermiere. Bisogna essere un fallito per intraprendere la nostra carriera.Onore ai colleghi che andranno a rischiare la propria incolumità per un bene superiore, per la salus rei publicae
. Non me ne vogliano i giuristi, ma questa locuzione tratta dai manuali di diritto romano rende onore a ciò che stanno facendo i nostri colleghi da settimane senza tregua, esalta ciò in cui crediamo: il benessere del popolo. Perché è questo che stanno facendo i nostri colleghi: stanno sacrificando se stessi in nome del benessere del popolo. Salus rei publicae, suprema lex esto.Emanuele Battiston Aggiornamenti in tempo reale sull’epidemia in ItaliaAiutateci ad aiutarvi
 
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