Ecco come convincere medici ed infermieri a lavarsi le mani

E’ oramai assodato che il veicolo maggiormente associato nella trasmissione delle infezioni correlate all’assistenza (ICA) siano le mani degli operatori sanitari.

L’igiene delle mani è difatti la principale misura per prevenire la diffusione di germi multiresistenti e ridurre le ICA stesse. Come dimostrato in letteratura, basta citare gli studi del Dott. Didier Pittet, Responsabile per l’Organizzazione Mondiale della Sanità della Campagna “Cure pulite sono cure più sicure”, la messa in campo di interventi multimodali, come la formazione, l’uso di remainder a parete in cui si raccomanda l’igiene delle mani e la disponibilità di molecola idroalcolica nel punto di assistenza aumenta la compliance a questa pratica da parte degli operatori e contemporaneamente riduce il tasso di Infezioni correlate all’assistenza.

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Quindi vi starete chiedendo dove stia il problema.

Il problema sta nel fatto che nonostante l’ovvietà delle cose appena dette molti operatori sanitari continuino a non lavarsi le mani quanto dovrebbero e quando dovrebbero, ed è così che in un Ospedale americano (Henry Ford Hospital di Detroit) si sono ingegnati e hanno realizzato un opuscolo da mostrare  a medici ed infermieri con le immagini di piastre, che dimostravano il grado di contaminazione del mouse del computer comunemente utilizzato in ospedale, della macchina ad ultrasuoni, della maniglia di una porta, del cellulare e per finire delle mani  stesse. Questo stratagemma ha fatto sì che il tasso di adesione al lavaggio delle mani passasse dall’11 al 50%.

Il personale ospedaliero dopo aver visto l’opuscolo con le immagini ha subito voluto lavarsi le mani, immaginando le conseguenze sui pazienti della contaminazione dei batteri” ha detto Ashley Gregory, co autrice del progetto.

Sulle superfici e sulle mani sono stati isolati dagli Streptococchi ai Bacillus, un tipo di batterio quest’ultimo che può provocare vomito e diarrea nei pazienti. Il progetto è interessante anche perché pone l’accento su fattori fin qui poco indagati come l’atteggiamento ed i comportamenti dei professionisti.

Uno studio del 2006 ad opera di Michael Whitby ed altri, ha indagato il perché gli operatori non si lavino le mani, ponendo l’attenzione sull’aspetto comportamentale relativo a questa pratica, dimostrando che l’adesione aumenta quando si fa leva su programmi che mirano a modificare i comportamenti e non solo agendo sugli aspetti organizzativi dell’assistenza come l’avere a disposizione molecola igienizzante e/o carta e sapone, nella fattispecie si è visto che gli operatori sono stati più propensi a lavarsi le mani se hanno avuto a che fare con pazienti particolarmente sporchi o con parti del corpo ritenute tali.

Si è visto come, a dispetto della necessità di lavarsi le mani sia prima che dopo il contatto con il paziente anche per rilevare semplicemente i parametri vitali, gli operatori abbiano attribuito una sorta di “gerarchie delle opportunità” in cui eseguire o non eseguire questa pratica, ritenendo di non porre in essere comportamenti lesivi per se ed i pazienti per manovre apparentemente pulite.

Anche questa iniziativa realizzata a Detroit ha fatto leva sul senso di disgusto derivato dall’osservare le piastre contaminate per migliorare l’adesione al lavaggio delle mani, a dimostrazione di come messaggi che fanno leva sui sentimenti quali il disgusto per l’appunto ed il senso di sporco, possano aiutare a combattere i comportamenti inappropriati da parte degli operatori sanitari e a ridurre le infezioni.

Rosaria Palermo

Fonte

www.corriere.it

edition.cnn.com

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Rosaria Palermo

Infermiera dal 1994. Attualmente, infermiera specialista del rischio infettivo presso l'ARNAS Garibaldi di Catania. Ho una laurea magistrale e due Master, uno in Coordinamento e l'altro in Management del rischio infettivo. Faccio parte del Direttivo di ANIPIO (Società Scientifica degli Infermieri Specialisti del Rischio Infettivo) dal 2016. Penso che lo scatto nella nostra professione debba essere culturale, prima di ogni cosa. Nelson Mandela diceva che la conoscenza è l'arma più potente di cui gli esseri umani dispongano, ed è ciò che permetterà alla nostra professione di ritagliarsi gli spazi che le competono.

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