Lavorare all'estero

Come nasce il sogno di lavorare nel Belpaese: “Anche noi vogliamo guadagnare € 5.000 al mese”

Il numero di professionisti sanitari stranieri operante nelle strutture italiane è in costante aumento

Per molte persone l’Italia viene ancora immaginata come un vero paradiso terrestre che offre ottime condizioni economiche e lavorative, soprattutto se paragonate a quelle presenti nei paesi di origine dei colleghi stranieri.

La comunità infermieristica rumena rappresenta una grande percentuale di professionisti stranieri presenti nel nostro paese. Ma quale percorso hanno dovuto sostenere per potersi trasferire in Italia e poter lavorare?

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Di seguito riportiamo l’intervista rilasciata alla Redazione di Nurse Times da Mihaela (nome di fantasia) nella quale racconta il percorso sostenuto per poter cercare lavoro nel nostro Paese.

Buongiorno Mihaela, esercitava già la professione in Romania?

Certamente, lavoravo come infermiera da circa 4 anni. Guadagnavo 300 euro al mese più la “spaga“, ovvero una mancia che gli assistiti versano agli infermieri.
Questa “donazione” rappresenta un modo di ringraziare gli infermieri per le cure che vengono erogate.

Purtroppo questo extra deve essere consegnato alla coordinatrice del reparto per evitare ogni genere di problema con i superiori o con la dirigenza. Alla fine mi rimanevano 300 euro puliti in tasca ogni mese.

Si tratta di uno stipendio dignitoso?

Con questo stipendio in Romania posso comprare molto pane, latte e yogurt. Se faccio un viaggio in macchina però, devo far bene i conti. La benzina costa più di un euro a litro e se faccio un viaggio troppo lungo c’è il rischio che mi parta metà dello stipendio.

Perché hai deciso di trasferirti in Italia?

Ho trovato in ospedale un annuncio col quale un’agenzia di lavoro cercava infermiere da mandare in Italia. In Romania gli italiani arrivano per aprire aziende e comprare terreni. Gli infermieri rumeni si chiedono se sia vero che in Italia si guadagnano tra i 4.000 e i 5.000 euro al mese. Sappiamo che c’è una carenza cronica di infermieri e molte di noi aspirano a lavorare in Italia, inseguendo il miraggio dell’alto guadagno.

Quali sono stati i primi passi compiuti per realizzare il tuo sogno?

Spinta dalle prospettive di guadagno, mi recai presso un’agenzia dove firmai un contratto di collaborazione per la ricerca di lavoro. Venni informata riguardo tutti i documenti che avrei dovuto tradurre e i permessi da richiedere in ambasciata. Una volta raccolti, spedii tutto al Ministero della Salute italiano per ottenere l’abilitazione a lavorare.

L’agenzia di reclutamento aveva un contatto con una cooperativa italiana che aveva in appalto servizi sanitari in diversi ospedali. La cooperativa ha spedito in Romania la copia di un pre-contratto e una delega che le infermiere devono sottoscrivere. La delega serviva affinché un responsabile della cooperativa potesse ritirare l’equipollenza (il riconoscimento di validità del diploma di infermiere conseguito in Romania) rilasciata dal Ministero della Salute.

La cooperativa ottenne l’equipollenza e la invió in Questura richiedendo il permesso di lavoro come infermiera. Fui informata del fatto che, una volta arrivata in Italia, avrei lavorato per un compenso minore rispetto ai 5.000 euro al mese previsti dal contratto nazionale degli infermieri. Fui comunque contenta di partite per un paese con stipendi molto più alti rispetto ai 300 euro al mese che guadagnavo in Romania.

Poi cosa è successo?

Ci furono alcuni ritardi per i permessi di lavoro e nel frattempo la cooperativa perse alcuni appalti importanti a causa di irregolarità fiscali così l’agenzia rumena cerco nuovi contatti.

Mi venne proposto un nuovo pre-contratto con un’altra cooperativa e mi fu garantito che, entro 3 mesi, sarei andata in Italia.

Per essere più convincente, la nuova cooperativa, aiutata dall’agenzia rumena, organizzò in Romania un esame d’italiano per l’iscrizione all’albo degli infermieri, e nel frattempo richiedette indietro le equipollenze alla prima cooperativa.

All’esame parteciparono molte infermiere e, fortunatamente, tutte vennero promosse.

A questo punto la cooperativa propose il nuovo pre-contratto ma, per accettare ciò, le infermiere dovettero necessariamente lasciare il lavoro in Romania immediatamente.
Avendomi garantito che sarei partita subito firmai il pre-contratto lasciando il lavoro.
Passarono tre mesi e poi ne passarono altri tre. Chiedendo come mai ancora non si partisse ricevevo ogni volta una spiegazione diversa: problemi burocratici, si aspettano le elezioni, sono cambiate le leggi…

Ma non potevo più aspettare ancora: da sei mesi non lavoravo, avevo il figlio che frequentava l’università, e i soldi stavano finendo.

A questo punto contattai delle persone che mi fecero entrare in Italia per lavorare, in nero, come badante. Vicino al luogo dove lavoravo, in Italia, c’era un ospedale che cercava personale. Purtroppo non potevo candidarmi perché la cooperativa con la quale avevo firmato si rifiutava di restituirmi l’abilitazione. Non potevo farci niente, nemmeno denunciare la cooperativa, visto che mi trovavo in Italia irregolarmente.

Tornai in Romania, e attesi pazientemente finché finalmente ricevetti il permesso di lavoro. Dall’Italia mi dissero di venire: “Una volta che sarà qua, potrà richiedere il permesso di soggiorno e cominciare a lavorare in un ospedale.”

Partii e presi il permesso di soggiorno ma non cominciai a lavorare: la cooperativa mi disse di aspettare. Intanto vissi in un casolare sperduto nella campagna insieme ad altre decine di infermieri che, come me, aspettavano. Due volte alla settimana venivano a prendermi in macchina per fare la spesa, per il resto ero praticamente bloccata in casa, una cucina dove tutti dovevano mangiare, con due bagni in comune.

Aspettai due mesi e mezzo, poi litigai con i rappresentanti della cooperativa e caddi in depressione. Dopo tre mesi mi trovarono un lavoro, ma ormai non me la sentii di restare. Sfinita da questa esperienza tornai in Romania e ripresi il mio vecchio lavoro. Attualmente sono ancora in cura da uno psichiatra, ma appena mi sarò ripresa, proverò a tornare in Italia.

L’attuale legge sull’immigrazione prevede la possibilità di giungere in Italia solo su chiamata di un datore di lavoro. Ciò ha fatto nascere nei Paesi dell’est europeo numerose società di intermediazione che si occupano di reclutare forza lavoro. Queste società stipulano degli accordi con le cooperative italiane che prendono in appalto servizi nelle strutture sanitarie, e che assicurano alle agenzie 50/60 euro al mese per tutta la durata del contratto per ogni persona che viene mandata in Italia. Naturalmente questi soldi non vengono pagati dalla cooperativa ma dagli ingaggiati, che percepiscono stipendi più bassi di 300-400 euro mensili rispetto al contratto nazionale.

Oltre a ricevere una cifra ridotta spesso riceviamo lo stipendio con molto ritardo, veniamo maltrattati, costretti ad abitare in case fatiscenti che dobbiamo condividere con molte altre persone e l’affitto viene sottratto dallo stipendio.

Alcune cooperative sono state multate perché, per assecondare le richieste provenienti dagli ospedali, hanno fatto lavorare persone con il solo permesso turistico. E sono molte le denunce sporte da infermieri immigrati per maltrattamenti e ingiustizie subiti da parte dei datori di lavoro.

Le strutture sanitarie preferiscono appaltare i servizi per non dover sostenere gli alti costi del lavoro, ma in alcune zone d’Italia si assiste già a un’inversione di tendenza.”

Questa testimonianza può essere sovrapponibile alle promesse che, oggi, vengono fatte agli infermieri italiani prossimi a trasferirsi in un paese estero?

Quante volte è possibile ascoltare chiacchiere da bar o voci di corridoio che parlano di infermieri che nel tale paese percepiscono stipendi da sogno anche superiori ai 5.000 euro mensili?

Non è tutto oro ciò che luccica e molto spesso un grande sogno può trasformarsi in un incubo senza fine, proprio come nella storia raccontata dalla collega Mihaela.

Simone Gussoni

 

Dott. Simone Gussoni

Il dott. Simone Gussoni è infermiere esperto in farmacovigilanza ed educazione sanitaria dal 2006. Autore del libro "Il Nursing Narrativo, nuovo approccio al paziente oncologico. Una testimonianza".

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