Cannabis in medicina, tante le patologie che può curare

Un recentissimo studio made in Italy identifica una nuova classe di cannabinoidi. Pubblicato su Scientific Reports, è uno dei primi studi sulla cannabis che sono stati sviluppati dopo la decisione dell’Onu di  riconoscerne le proprietà mediche.

“La differenza tra la cannabis e le altre piante è che in queste ultime si trovano al massimo due o tre principi attivi utili all’uomo, mentre nella cannabis sono stati trovati tanti composti attivi farmacologicamente che possono essere utili in molte patologie diverse tra loro” ha detto Livio Luongo, professore associato di Farmacologia presso l’Università di Napoli Luigi Vanvitelli, a ilfattoquotidiano.it.

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“Stiamo completando la serie omologa di cannabinoidi molto conosciuti, il THC e il CBD. L’hanno scorso era stata la volta del THCP e del CBDP, quest’anno siamo andati oltre con la scoperta del Cannabidiexolo (CBDH) e Tetraidrocannabiexolo (THCH)”, racconta Giuseppe Cannazza, specificando che “si tratta di una nuova classe di cannabinoidi ed è estremamente interessante perché sono sostanze che venivano confuse con un altro composto organico (il metiletere, nda), e servirà per fare chiarezza sulla composizione chimica della cannabis, un’operazione fondamentale per la medicina di domani” ha spiegato al quotdiano il professor Giuseppe Cannazza, ricercatore presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, consulente dell’OMS nel lungo processo di revisione dalla cannabis approvato all’ONU.

Cannabis in medicina, “non soltanto per capire quanto possa fare male, ma per capire bene cosa possa curare

I composti al centro dell’ultima pubblicazione scientifica, sottolinea Luongo, “hanno evidenziato innanzitutto il fatto che alzando la concentrazione aumenta l’effetto analgesico, ma superando una certa soglia l’effetto svanisce. Il motivo sta nel fatto che, funzionando su tanti target e su diverse patologie, stimolandone uno abbiamo l’effetto farmacologico, ma alzando la dose andiamo a toccare altri interruttori che fanno perdere quel determinato beneficio, magari per guadagnarne un altro. Per questo vanno studiati in modo approfondito, a partire dalle patologie correlate a dolore, ma anche a quelle del tratto gastro-intestinale”.

I ricercatori sperano che arrivino anche i finanziamenti per il mondo della ricerca sulla cannabis,”non soltanto per capire quanto possa fare male, ma per capire bene cosa possa curare“.

Cristiana Toscano

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